Il lavoro sta cambiando in modo radicale. Ne stanno mutando le mansioni, i modelli organizzativi, i tempi, ma soprattutto le motivazioni. Gli ultimi dati Istat documentano un leggero aumento dell’occupazione a giugno 2024 rispetto al mese precedente (+0,1%, pari a +25mila unità) e un tasso di disoccupazione giovanile in aumento al 20,5% (+0,1%). Se pur minime, queste percentuali confermano che quella del lavoro rimane tra le principali emergenze del Paese. Questo non solo perché i lavori poveri, precari e non dignitosi hanno ancora percentuali tra le più elevate nei Paesi Ocse ed europei, ma soprattutto perché il problema coinvolge in gran parte i giovani. Per un giovane, la difficoltà a inserirsi in un percorso professionale spesso significa una maggiore difficoltà a realizzarsi e affrontare la vita con speranza.



In Italia, quasi un quinto dei giovani (15-29 anni) non studia né lavora; la percentuale di occupati a termine per i giovani tra i 15 e i 24 anni è superiore di 10 punti rispetto alla media Ue, e lo stesso vale per i giovani tra i 25 e i 34 anni; in media, il 5-8% dei laureati emigra annualmente all’estero, tanto da essere l’unico Paese tra le principali economie mondiali in cui le partenze di studenti e giovani lavoratori superano gli ingressi; appena una donna su due ha un’occupazione. Altrettanto allarmanti sono le disuguaglianze territoriali e di genere che sembrano acuirsi invece che ridursi. Il flusso di giovani dal Mezzogiorno al Nord appare inarrestabile e permangono ancora evidenti disparità salariali tra donne e uomini.



La concezione stessa del lavoro sta mutando. Studi recenti mostrano che, per un numero crescente di giovani all’inizio del percorso lavorativo, il criterio principale per scegliere un’occupazione non è più il salario ma la ricerca della “work-life balance” (un sano equilibrio tra mansioni lavorative e vita personale e sociale) e di un percorso di crescita professionale. Allo stesso tempo, il lavoro viene sempre più spesso vissuto come un obbligo funzionale alla sopravvivenza, “la condanna del destino” direbbe Guareschi, e non come l’ambito in cui esprimere sé stessi e la propria appartenenza alla collettività. Fenomeni quali “great resignation” (grandi dimissioni), “yolo” (you only live once) e “quiet quitting” (difesa dal lavoro facendo lo stretto necessario), mettono in luce un cambio di mentalità dei lavoratori e mostrano che ciò che è in discussione è il motivo ultimo del lavoro, del perché valga la pena mettersi in gioco.



Tutti questi temi sono stati al centro di numerosi studi e convegni promossi dalla Fondazione per la Sussidiarietà nell’ultimo anno, a partire dal ciclo di incontri Generazione Lavoro durante la scorsa edizione del Meeting di Rimini e la ricerca Un mercato del lavoro che cambia. Le professioni low-level skill. Studi e incontri non sui giovani ma con i giovani, per favorire il dialogo tra esperti senior e ragazzi all’inizio del percorso lavorativo. Questa è già una novità, considerando che la comunicazione inter-generazionale è sempre più difficile, anche a causa di diverse categorie di linguaggio. Dai racconti di numerosi giovani, donne e uomini italiani che lavorano in diverse parti del mondo è emerso nitidamente che il lavoro è espressione di dignità, che significa anche avere un giusto salario e condizioni di lavoro che si concilino con la famiglia, gli amici, e gli altri interessi. È il desiderio di trasformare e rendere migliore la realtà a beneficio di tutti, di esprimere la propria personalità, di mantenere sé e i propri cari.

Sono tanti gli spunti di riflessione emersi dal lavoro della Fondazione su questi temi nell’ultimo anno. Ne sottolineo tre. Primo, tanti giovani hanno una grande curiosità, desiderano imparare continuamente e acquisire nuove competenze. Non fuggono dal lavoro, al contrario, vogliono esserne protagonisti. Per questo non si accontentano di condizioni lavorative inadeguate. Secondo, i giovani vogliono lavorare non per qualcuno ma con qualcuno. Desiderano essere valorizzati e accompagnati in un percorso di crescita che soddisfi le loro aspirazioni. Terzo, per comprendere e affrontare le grandi trasformazioni in atto è necessario il dialogo e l’ascolto tra i vari protagonisti del mondo del lavoro: i lavoratori, i giovani, le donne, gli imprenditori, il sindacato e i politici.

Il pensiero economico, e dunque il lavoro, spesso rimbalzano tra due mentalità: quella neo-liberista, dominata dalla massimizzazione dell’utilità individuale, e quella statalista o assistenzialista, che non affronta veramente il bisogno di tutti di avere un’occupazione. Entrambe debilitano la dimensione relazionale. I giovani indicano una terza via, in cui le relazioni sociali, familiari e lavorative insieme siano una leva per lo sviluppo e per la piena occupazione.

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