Non esiste un modo giusto per tornare a scuola. C’è chi ci torna con tutti i compiti ancora da fare e chi con i quaderni in ordine; chi contento di ricominciare e chi senza alcuna voglia; chi per vedere di nuovo la ragazza di quinta di cui si è invaghito e chi odiando il genere umano; chi ci torna perché ci deve tornare e chi perché ci vuole tornare; chi si aspetta tanto dal nuovo anno e chi pensa di sapere già come andrà a finire; chi per scappare dalla propria famiglia e chi, invece, spinto e costretto proprio da quella famiglia; chi arriva con un’estate piena di avventure e chi rientra dopo mesi difficili, faticosi, pieni di tradimenti e di delusioni. Non esiste un modo giusto per tornare a scuola e, in fondo, non esiste un modo migliore.



Il punto è che i nostri ritorni sono come delle equazioni il cui valore della x coincide con il nostro umore, con le nostre reazioni o i nostri pensieri, con quello che sentiamo. Come se tornare fosse soltanto l’esito di quello che abbiamo vissuto o che percepiamo. In questo ipotetico mondo matematico il ritorno è definito dall’incognita x e il suo valore è dato dalle emozioni dell’io. X = io. Eppure, tutti noi sappiamo che quando andiamo ad una festa accade qualcosa che è più grande, o più terribile, dell’io. Succede persino a certi pranzi di famiglia dove non attendi nulla, ma poi – misteriosamente – si muove qualcosa che ci colpisce e ci sorprende.



La realtà non coincide mai totalmente con l’io, ma porta sempre con sé qualcosa che eccede e che non conosciamo. Con parole antiche, ma commoventi, si potrebbe dire che ogni attesa, ogni x, è sempre composta da tutta la storia dell’io che la vive e il mistero. X = io(M).

Il mistero, quello che è ignoto, non si limita semplicemente ad arricchire il cammino dell’io, ma moltiplica, amplifica, rende più grande, ciò che ciascuno di noi si porta nel cuore. Iniziare la scuola significa scegliere dove guardare: a quello che sono e che so della vita, oppure a quello che deve ancora succedere, che non immagino, che non sospetto.



Può succedere tanto dietro un banco di scuola: puoi scoprire di essere una capra in matematica o un genio della storia, puoi innamorarti di quella che un giorno diventerà tua moglie o portare delle domande così radicali che ti porteranno a scegliere di dare la tua vita per gli altri. Puoi litigare con il prof che non sopporti oppure scoprire un legame con un insegnante su cui non avresti mai scommesso dieci centesimi. Non esiste un modo giusto per tornare a scuola, benché esista una decisione che ciascuno deve prendere: se tornarci a caso, seguendo la tempesta dei sentimenti, o se tornarci secondo ragione, con ragione. La ragione è lo strumento con cui l’intelligenza umana accetta che la realtà non sia chiusa e definita in sé stessa, ma si doni a ciascuno di noi come possibilità. Vivere secondo ragione significa vivere secondo possibilità, senza pensare che la partita sia già chiusa e finita. Vivere secondo ragione significa vivere aperti al mistero, curiosi, desiderosi, appassionati. La paura più grande che deve attraversare il cuore di un insegnante non è l’applicazione delle nuove linee guida sull’educazione civica, non è la pianificazione delle 30 ore di orientamento annuali, non è la nuova certificazione sulle competenze o il dibattito sulla valutazione: la paura più grande che deve attraversare il cuore di un docente è che passi un anno e i ragazzi non avvertano minimamente l’urgenza di aprire il cuore, la necessità di prendersi sul serio.

Come è triste un adolescente che fa tutto, un adolescente munito di PDP, un adolescente che ha i permessi necessari per entrare e uscire in modo differito, un adolescente i cui genitori vanno a tutti i colloqui con i professori e poi – in fondo – resta schiacciato, senza domande, senza paure, senza inquietudini, senza bisogno del Mistero. Non esiste un modo giusto per tornare a scuola, ma esiste un modo vero, un modo che trasformi il tempo che passa in una strada. Un modo che faccia diventare tutto quello che succede – anche la più grande delle tragedie – la caparra di qualcosa che la vita attende. Un volto, un segno, una promessa. Buon anno ragazze e ragazzi, buon anno cari colleghi. Compagni di avventura di qualcosa che stiamo ancora iniziando a scoprire noi.

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