Tassa sugli extrautili bancari? Meglio aiuti ai clienti

In vista della Legge di bilancio torna a riaffacciarsi l'ipotesi di introdurre un tassa sugli extraprofitti bancari nel nostro Paese

Sei mesi fa – quando le grandi banche italiane annunciarono profitti record nei consuntivi 2023 – in questo spazio abbiamo dato appuntamento all’autunno: quando – prevedevamo – sarebbe tornata d’attualità l’ipotesi di un prelievo fiscale straordinario sugli utili “straordinari” realizzati dal settore finanziario. Soprattutto allorquando un altro anno “extra” si profilava già chiaramente per l’esercizio in corso. Quando ormai le banche stanno chiudendo i loro conti al terzo trimestre, il dibattito politico attorno alla manovra in preparazione ha puntualmente risollevato la questione: il Governo ha il diritto – o forse addirittura il dovere – di chiedere alle banche un contributo “una tantum”?



I numeri grezzi qualche riflessione certamente la impongono: così come la suggerirono un anno fa, principalmente per iniziativa della Lega. I due “campioni nazionali” – Intesa Sanpaolo e UniCredit – si accingono entrambi a mettere a bilancio un utile consolidato vicino ai 9 miliardi. La somma è confrontabile in sé con il saldo stimato per la Legge di bilancio (25 miliardi). Ed è noto che per il terzo anno di fila le banche si accingono a beneficiare in pieno dei rialzi dei tassi decisi dalla Bce in funzione anti-inflazione. La dinamica è stata riversata in toto sugli attivi delle banche (anzitutto sui crediti alle imprese e sui mutui alle famiglie), mentre poco o nulla si è mosso sul versante dei depositi: che hanno continuato a non essere remunerati, come del resto è avvenuto dopo la crisi finanziaria del 2008.



Il valore creato dalla congiuntura è così andato principalmente agli azionisti delle banche: grandi e piccoli, italiani (come anche le Fondazioni di origine bancaria) o internazionali. È vero che tutti questi ultimi sono stati all’asciutto di dividendi per due bilanci (2020-21) su diktat della Bce, preoccupata dalla recessione da Covid e attenta a rafforzare le basi patrimoniali dei grandi intermediari. Non da ultimo: per non deprimere le quotazioni di Borsa in previsione di possibili necessità di ricorrere ai mercati per aumenti di capitale.

L’obiettivo di mettere al riparo il sistema bancario dalle turbolenze portate della pandemia prima e poi della crisi geopolitica è stato indubbiamente raggiunto. Esemplare è stato il caso di Unicredit che – grazie alla performance reddituale – ha quintuplicato il valore di Borsa in tre anni, potendosi consentire un investimento importante nella tedesca Commerzbank: salvata quindici anni fa dallo Stato tedesco, che oggi ha potuto avviare una riprivatizzazione grazie alle migliori prospettive per il settore bancario in tutt’Europa (eguale è il caso di Mps, si cui il Governo italiano sta accelerando la dismissione).



È su questo sfondo (quello di una Germania cui gli anche 1,7 miliardi di UniCredit per Commerz appaiono preziosi per il bilancio pubblico “strozzato” dall’obbligo costituzionale al pareggio) che in Italia ci si interroga nuovamente sugli extra-utili bancari. La lobbying – del tutto lecita – che dodici mesi fa cancellò ogni previsione dal disegno definitivo di legge finanziaria non è ancora entrata in funzione. Quando lo farà è probabile che l’argomento principale sarà l’inizio della fine dell'”età dell’oro” decretata dai tagli dei tassi avviati dalla Bce, per cessato allarme inflazionistico e necessità di stimoli a economie frenate ovunque dal caro-tassi.

Può anche darsi – invece – che l’Abi (e l’Ania per le compagnie d’assicurazione) decidano quest’anno di giocare d’anticipo all’insegna della flessibilità e del dialogo con il Mef. Ed è indubitabile che le forme di contribuzione pronta cassa all’erario appaiano le più semplici.

Di certo sarebbe più politicamente attraente la prospettiva di un sistema bancario che opera in via straordinaria come leva sussidiaria nell’economia reale: cioè nella sua “mission” principale e storica. “Spendere” parte degli utili in condizioni economiche eccezionalmente favorevoli per le imprese e soprattutto per le famiglie (i soggetti più colpiti dall’inflazione e dal caro-tassi). Riconoscere una remunerazione seppur minima a tutti i depositi, abbassare con prontezza i tassi sui mutui (soprattutto ai giovani); diminuire – o in qualche caso anche azzerare – i costi dei servizi; aumentare le assunzioni a fronte dei piani di esubero annunciati: questi sarebbero tutti modi per “tassare” gli extra-utili in una partita win-win.

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