Quando l’uomo è accartocciato dentro le circostanze della vita, e non sa come ritrovare il filo che lo porti fuori da quell’ingorgo e lo liberi, viene sempre in aiuto la realtà. Da duemila anni, nella civiltà cristiana, realtà è il nome quotidiano di Colui che si è incarnato e che – come dice Agostino – è rimasto carne.
La nostra società emerge da un’estate di violenza, di grandi interrogativi sul senso del vivere insieme, sul futuro economico e sociale del nostro continente. La tentazione, che replica in grande ciò che accade in piccolo per un amico che non sta bene, per un matrimonio che zoppica o per una situazione particolarmente dolorosa, è quella di cercare un modo per risolvere tutto. Gli uomini vogliono risolvere, gli uomini cercano ciò che è utile.
Ci sono persone che consultano quasi tutta la loro rubrica telefonica nel tentativo di trovare quella risposta, quella parola, che sistemi ogni cosa. La realtà, invece, mostra un’altra strada. Dentro l’apparente nulla dell’inverno, fiorisce la primavera ed esplode l’estate, che è sole, disordine, caos, vita. Dinanzi a questa grande esplosione, Dio – invece di sistemare tutti i problemi generati da quella detonazione – sorprende tutti con l’autunno. L’autunno, insomma, è la vera sorpresa di Dio: perché tutta quest’acqua, tutto questo maltempo, dopo quelle belle giornate di sole?
Il primo lunedì d’autunno non è solo un dato atmosferico o cronologico, ma un’indicazione di metodo. Autunno significa iniziare a morire, iniziare a lasciare andare. Che cos’è che deve morire? Che cos’è che deve essere lasciato andare? L’idea che ciascuno ha su quello che succede, l’opinione parziale che ognuno coltiva su quanto accade. Autunno è dunque lasciare spazio alla realtà, mettendo in secondo piano tutto quello che si pensa, che si suppone, che si vuole: lasciando in campo solo quello che c’è.
È paradossale, ma la sfida di questa stagione, la sfida della vita, la sfida di Dio è solo una: ciò che è utile, grande, onnipotente deve diventare inutile per essere utile davvero. Finché sei utile a tuo figlio, non gli sei utile. Finché sei utile ai tuoi amici, non gli sei utile. Il Verbo di Dio, che era Dio, è diventato inutile fino alla morte (che cosa c’è di più inutile di una persona morta?) e, allora, da quel momento ha iniziato davvero a essere utile.
L’uomo cerca di essere utile, di costruire sistemi e leggi per cui certe cose non accadono più: si preoccupa di quello che sta prima dei fatti, ma poi – quando i fatti accadono – raramente ha qualcosa da dire. La cronaca di questi mesi è lì a testimoniarlo. Il motivo è semplice: prima che le cose succedano, si può essere utili. Dopo che le cose sono accadute, si può solo amare. La vita non è un’opera di prevenzione, ma un atto di risposta e di responsabilità individuale alle chiamate del Mistero. Accettare che un marito sia così, che una moglie sia in quell’altro modo, che un figlio abbia commesso quel fatto o che quel particolare peccato sia entrato nella tua casa significa provare a prendere le distanze dalla nostra bramosia di risolvere e di aggiustare, per permettere a quello che accade di parlarci.
È necessario tuttavia ricordare un’ultima cosa: sbaglierebbe chi identificasse questo atteggiamento di distanza, di autunno, con una passività. Fare spazio alle cose, permettere che le foglie si ingialliscano mostrando con più evidenza la pianta, ha delle implicazioni non da poco: se si prendono le distanze dalla realtà, improvvisamente quella realtà la si guarda meglio, notando cose mai viste, guadagnando una serenità nuova nel comprenderla. In secondo luogo, quando si rinuncia a parlare, a dire, ad argomentare, si scopre che è la realtà che parla, che quello che succede ci riguarda, che c’è molto di più che si può intuire. E poi, il passo decisivo: prendere le distanze da quello che uno pensa o interpreta, permette di vedere tutto da un altro punto di vista, permette – inaspettatamente – di ritrovarsi grati per quello che è successo. In questo modo, uno si ritrova a essere grato per un amore finito, per una malattia, per un problema attraversato: non è follia, è autunno!
Quella stagione che il Vangelo chiama croce è quel mistero cristiano che fa dire a sant’Agostino “O felix culpa!” o a san Francesco “Nostra sorella morte corporale”. Che il male possa essere causa di felicità, che il peccato possa essere oggetto di gratitudine, che la morte possa diventare sorella, sembra totalmente una follia. Eppure, è questa la grazia dell’autunno. Una grazia che mette il cuore in attesa, che spalanca il cammino allo stupore del Natale. E alla commozione di ogni Pasqua.
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