L’arte a volte arriva a colpirci al cuore in modo del tutto inatteso. Seguite questa storia. Nel 1566 le navi turche avevano attaccato tante città del basso Adriatico con l’obiettivo principale di conquistare le Isole Tremiti. Erano sbarcate anche a Termoli, in Molise. Qui, dopo aver fatto razzia nel borgo, avevano tentato di impadronirsi di una grande campana, posizionata a quanto sembra su un molo, che veniva suonata per avvertire pescatori e marinai dell’arrivo di turbolenze in mare. Era la Campana di Santa Caterina. Il tentativo risultò vano perché alla fine per il suo peso la campana finì in mare affondando anche l’imbarcazione che avrebbe dovuto trasportarla.



Sono passati quasi cinque secoli e quella campana non è stata dimenticata. È proprio a questo punto che entra in campo a sorpresa l’arte. Adrian Paci è appunto un artista, albanese di nascita ma dagli anni 90 attivo in Italia. È un artista di primo piano sulla scena internazionale. Invitato a Termoli da un amico viene a conoscere questa vicenda della campana e inizia ad immaginare come poter restituirla a quella comunità. Appena annuncia la sua intenzione e racconta l’idea, trova spirito di collaborazione da parte di tanti soggetti, a cominciare dai responsabili della Pontificia Fonderia Marinelli, la più antica d’Italia, che si trova in provincia di Isernia.



Il bello sta nell’idea: Paci ha progettato una campana da posizionare su una piattaforma galleggiante sul mare davanti a Termoli, come se fosse riemersa dai fondali. Così è accaduto: e le onde hanno preso il posto del campanaro dettando tempi e intensità dei rintocchi. Quella situazione così speciale è stata documentata con un video di grande qualità e intensità che restituisce suoni e silenzi e che è stato presentato a Lubiana in queste settimane in occasione di una personale dell’artista. “Tre schermi hanno accolto l’apparizione della campana in mezzo al mare che rintocca dondolata dalle onde”, ha scritto Paci. Tre schermi quasi si trattasse di un moderno trittico capace come gli antichi trittici di restituirci una familiarità con il mistero.



“Un artista è capace di scovare l’immenso nell’operazione più semplice”, ha scritto Stefano Salis sul Sole 24 Ore di domenica scorsa. È davvero così. Con l’aggiunta che questa opera di Paci ci richiama anche un qualcosa di ben noto, un qualcosa che in tanti casi è a noi prossimo. Sono le campane che nonostante tutto in tante zone delle nostre città così accanitamente moderne continuano a scandire le giornate e le ore. Tante volte le si guarda con indifferenza o anche con fastidio. Invece sono presenze portatrici di una dimensione più umana dell’esistenza, di un sentimento del tempo liberato dalle nevrosi.

Come ha scritto Sara Passerini, una studentessa di Adrian Paci, commentando quella sua opera, sono insieme un fattore “di richiamo e di conforto”. Con discrezione s’insinuano nelle nostre giornate, ci fanno alzare lo sguardo, suggeriscono altri orizzonti: “vien fiducia verso l’alto” recita il verso di una celebre poesia di Rebora. I loro rintocchi sono preziosi collanti di una possibile convivenza civile: “voce tua, voce mia”, si legge sempre in quella poesia. Teniamocele strette.

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