Niente da fare: proprio non ci arrivano gli apostoli. Proprio non ci arriviamo noi, discendenti diretti dei primi amici del Cristo. Che nessuno venga a dire, poi, che i tempi sono mutati: siamo ancora esattamente “in quel tempo” come ama specificare il vangelo. In quel tempo, cioè nel nostro tempo, dove i discorsi sono gli stessi d’allora, discorsi imbastiti all’ombra del campanile: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”.
Glielo dicono così sfacciatamente e ingenuamente che ti viene da pensare che lo pensassero per davvero; che, dicendolo, si sarebbero portati a casa il più bell’applauso tra quelli che il Cristo aveva loro sinora riservato. Gli dicono, in parole povere, che scacciare il male cercando di accendere del bene lo possono fare soltanto loro. Perché solamente loro hanno l’autorizzazione ad agire in nome e per conto di Dio, quand’invece “io so e sento che fare del bene è la vera felicità di cui il cuore umano può godere” (J.J. Rousseau).
Sono convinti, in in altri termini, di essere loro coloro che hanno lo Spirito Santo in tasca. Dio è un affare loro, proprietà privata loro. L’altro è brutto, sporco, cattivo non perché lo sia veramente ma “perché non ci seguiva”. Detto con linguaggio di parrocchia contemporaneo: “Non è dei nostri, don”. Di quelli che vengono alla messa, in parrocchia, che si smazzano per pulire chiesa, patronato e dintorni.
Cristo, da parte sua, si sarà imposto (per l’ennesima volta) di non cedere a nessuno sconforto: “Testa bassa e pedalare, vecchio!” avrà ridetto chissà quante volte a se stesso nei mille giorni passati in loro compagnia. E prova a fare di una vigliaccaggine un’occasione di crescita personale: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi” (cfr Mc 9,38-48). Anche troppo galantuomo è Cristo verso la nostra cafonaggine tipica della messa-prima: “Amici, imparate a non invidiare chi fa del bene: applaudite e poi cercate di fare meglio di loro”. Al cuore del Demonio, Cristo la sa molto bene, non ci sta il male come tutti amano pensare: al cuore di Satana ci sta l’invidia. Ecco perché, anche nei Vangeli, se l’invidia fosse un lavoro, non ci sarebbe mai il problema della disoccupazione.
Il fatto è che la loro osservazione (ch’è ancora oggi la nostra di cristiani) nasce da una preoccupazione spicciola: che gli altri portino via a loro il cartello con scritto “Concessionario autorizzato del bene”. La notizia positiva c’è: gli amici di Gesù si rendono conto che fare del bene è bello. La correzione è altrove: questa bella capacità di fare del bene non è solo nostra, ma è di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Tanto che – sembra dire Cristo – qualcuno non ci segue con la spilla dell’oratorio sulla maglietta, ma nel cuore è dei nostri. Pur continuando a viaggiare apparentemente in borghese, da solo, senza tesserarsi in parrocchia.
La missione continua: non s’interrompe nemmeno dopo questa ennesima defaillance apostolica. Cristo, dopo l’inciampo, rilancia l’andatura: “A voi che siete miei amici – sembra ripetere – spetta il compito di far nascere la curiosità di incontrare Me: con la vostra testimonianza, il vostro modo di vivere curioso, il vostro sorriso sulle labbra”. Poi la richiesta di collaborazione più feroce: “Però vi chiedo, se potete, di lasciarmi la libertà di fare anche quello che voglio io, senza dover sempre chiedere prima il permesso a voi. Io sono Dio, punto: questa cosa qui (sono io Dio e non voi) non scordartela mai”. È così che rinasce nel cuore di Cristo la bella certezza che il mondo – anche se non va ancora a messa – non è brutto, sporco e cattivo: è il mondo. E dentro il mondo c’è una percentuale alta di bontà e di bellezza che non dipende dal tesseramento annuale in parrocchia ma dalla libertà che si prende Dio di andare e venire dove vuole, a piacimento. Rimane un fatto: che 5, sovente, rende assai invidiosi.
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