Il Vangelo di questa domenica riporta il primo miracolo compiuto da Gesù dopo il battesimo al Giordano: le nozze di Cana. A un tratto l’evangelista Giovanni riporta una risposta di Gesù a sua Madre decisamente anomala.
Benedetto XVI commentò in modo unico quel passaggio: “‘Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora’ (Gv 2, 4). Noi vorremmo obiettare: Molto hai da fare con lei! È stata lei a darti carne e sangue, il tuo corpo. E non soltanto il tuo corpo: con il ‘sì’ proveniente dal profondo del suo cuore ti ha portato in grembo e con amore materno ti ha introdotto nella vita e ambientato nella comunità del popolo d’Israele. Ma se così parliamo con Gesù, siamo già sulla buona strada per comprendere la sua risposta. Poiché tutto ciò deve richiamare alla nostra memoria che in occasione dell’incarnazione di Gesù esistono due dialoghi che vanno insieme e si fondono l’uno con l’altro, diventano un’unica cosa. C’è innanzitutto il dialogo che Maria ha con l’Arcangelo Gabriele, e nel quale ella dice: ‘Avvenga di me quello che hai detto’ (Lc 1, 38). Ma esiste un testo parallelo a questo, un dialogo, per così dire, all’interno di Dio, di cui ci riferisce la Lettera agli Ebrei, quando dice che le parole del Salmo 40 sono diventate come un dialogo tra Padre e Figlio – un dialogo nel quale s’avvia l’incarnazione. L’eterno Figlio dice al Padre: ‘Tu non hai voluto né sacrifici né offerte, un corpo invece mi hai preparato… Ecco, io vengo … per fare la tua volontà’ (Ebr 10,5-7; cfr Sl 40,6-8). Il ‘sì’ del Figlio: ‘Vengo per fare la tua volontà’, e il ‘sì’ di Maria: ‘Avvenga di me quello che hai detto’ – questo duplice ‘sì’ diventa un unico ‘sì’, e così il Verbo diventa carne in Maria. In questo duplice ‘sì’ l’obbedienza del Figlio si fa corpo, Maria, con il suo ‘sì’ gli dona il corpo. ‘Che ho da fare con te, o donna?’ Quello che nel più profondo hanno da fare l’uno con l’altra, è questo duplice ‘sì’, nella cui coincidenza è avvenuta l’incarnazione. È a questo punto della loro profondissima unità che il Signore mira con la sua risposta. Proprio lì rimanda la Madre. Lì, in questo comune ‘sì’ alla volontà del Padre, si trova la soluzione. Dobbiamo anche noi imparare sempre nuovamente ad incamminarci verso questo punto; lì emerge la risposta alle nostre domande” (dall’omelia tenuta presso il Santuario di Altötting, 11 settembre 2006).
Quello di Gesù, anche per i credenti, può diventare un contenitore nel quale accomodare ogni cosa. Ridotto a valore ispirativo, assume le caratteristiche di un grande pretesto per non guardare al cammino umano che stiamo facendo e che, proprio Lui, è venuto a ridestare. Nel rapporto tra Gesù e Maria è evidente come non ci sia alcuno spazio per questo rischio. Entrambi, infatti, si incontrano in quel ‘sì’ che dichiara il primato dell’iniziativa del Padre. Prima che qualcosa da fare per gli altri o per Dio, prima di riempire Cristo coi nostri contenuti, prima di intraprendere imprese per la conversione del mondo… l’episodio di Cana ci ricorda che l’opera della Trinità è già presente, e attende di essere riconosciuta. E il cuore prezioso di questa opera siamo noi.
L’acqua mutata in vino diventa così il primo segno inequivocabile della volontà del Figlio di Dio di salvare il nostro umano. Con quel gesto è come se ci dicesse: “Amico, non preoccuparti di spendere la vita per me o di fare le cose per me, tu sei già mio. Apri gli occhi, spalanca il cuore, e goditi il vino buono per cui non hai fatto nulla”. Che liberazione sarebbe e che riconquista di ciò che trascuriamo regolarmente: noi stessi.
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