Nel cuore di Roma, non lontano da Piazza Farnese, c’è una chiesa un po’ appartata che meriterebbe davvero una visita, non tanto per i tesori che conserva quanto per quel che racconta. All’origine era stata la casa di Paola, matrona romana di fede cristiana, morta a Betlemme nell’anno 404 e venerata santa dalla Chiesa, che ne celebra la memoria il 26 gennaio. Paola aveva dato ospitalità a Gerolamo quando questi era giunto a Roma nel 382. Per questo la chiesa sorta sul luogo è dedicata a lui, san Gerolamo. Le stanze di quello stesso edificio 12 secoli dopo sono state casa per quello che a Roma è forse il più amato dei santi, Filippo Neri. Vi visse tra il 1551 e 1583, e ci vollero interventi autorevoli per convincerlo a venir via e fare i 500 metri che lo separavano dalla chiesa di Santa Maria in Vallicella, costruita proprio per accogliere i tanti figli della Congregazione dell’Oratorio a cui lui stesso aveva dato origine (la parola fondare non gli piaceva…).
Racconto questa piccola grande storia perché l’occasione di andare a Roma per il Giubileo è anche un’occasione per sperimentare la natura specialissima e unica di questa città. Quella natura che ispirò a Dante il verso celebre e rassicurante messo in bocca a Beatrice: “sarai meco sanza fine cive di quella Roma onde Cristo è romano”. È una natura che ha caratteristiche ben sperimentabili anche nella città di oggi, pur assediata da un’americanizzazione che in tanti casi ne ha sfigurato il volto. Basta mettersi sulle tracce di luoghi come quella chiesa dedicata a san Gerolamo e abitata da san Filippo: una formella sul soffitto cinquecentesco un po’ anacronisticamente li rappresenta insieme, senza curarsi né dei secoli che li separano né dei caratteri tanto diversi che li caratterizzavano. Severo uno, allegro l’altro. Era Roma ad unirli.
La natura del cattolicesimo romano ha qualcosa di unico che resta attaccato addosso appena se ne entra in contatto. Per questo la scoperta di luoghi così è qualcosa più che un esercizio di pur giusta curiosità storica. Sono debitore delle notizie sin qui riportate ad un piccolo libro che è un utilissimo vademecum, nel quale Paolo Mattei, giornalista, ha raccolto gli articoli di una rubrica che tiene sull’Osservatore romano (bello già nel titolo: Un nonsoché che assomiglia alla felicità. Santi, chiese, strade e varia umanità di Roma).
È molto facile farsi contagiare da questa natura del cattolicesimo romano, perché qui il cattolicesimo è stato vissuto per secoli come un fatto clamorosamente pubblico. È nato per essere di tutti, indipendentemente dalla storia di ciascuno. Luigi Magni, il regista del bellissimo film dedicato a Filippo Neri, State buoni se potete, si definiva così: “comunista da quarant’anni e cristiano da 20 secoli”. Le facciate delle chiese a Roma sono “sfacciatamente” belle; un vero spettacolo di felicità pubblica. Sfilano una dopo l’altra, senza nessun timore di essere “troppe”. Pensate che negli stessi anni sorgevano, in parallelo, Santa Maria in Vallicella, Sant’Andrea della Valle, il Gesù e San Carlo ai Catinari. Tutte senza risparmi e tutte a poche centinaia di metri l’una dall’altra. È una conformazione che rispecchia e insieme plasma quella dimestichezza alla fede che ha segnato per secoli l’anima del popolo romano e che colpì anche Goethe, quando, arrivato a Roma, era rimasto colpito dalla figura di Filippo Neri e aveva coniato per lui una sintesi stupenda, “sempre devotamente allegro”. Roma ci riserva tanti regali come questi. Non facciamoceli sfuggire.
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