Si è molto parlato, negli ultimi giorni dell’anno bisesto che abbiamo appena salutato, dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) che sono entrati in vigore il 30 dicembre 2024. A parte la ridicola vicenda dello “stop and go” provocata dalle decisioni di sospensiva e riattivazione del decreto che hanno caratterizzato le attività del Tar del Lazio tra il 30 ed il 31 di dicembre 2024, i giudizi enfatici (persino eccessivi) di molti commentatori mi hanno fatto pensare che forse non è stata correttamente colta la sostanza del nuovo provvedimento e quindi, prima di esprimere qualche dovuto commento, vale la pena di precisare innanzitutto di cosa si sta parlando.
I Livelli essenziali di assistenza sono stati introdotti nel nostro ordinamento nel 2001 e sono stati poi aggiornati nel 2017: quindi è da allora che sono state introdotte le nuove prestazioni di cui tanto si è parlato. Il problema è che il nuovo decreto che ha aggiornato i Lea non è diventato operativo perché per le prestazioni non sono state definite le relative tariffe e così è rimasto incompleto il percorso attuativo. In realtà, alcune regioni si erano già mosse aggiornando i propri tariffari con tariffe regionali, ma la maggioranza dei territori è rimasta in attesa di un provvedimento nazionale che si è appunto materializzato nel decreto che è entrato in vigore al 30 dicembre 2024.
La velocità con cui procede lo sviluppo dell’odierna medicina rende inevitabilmente obsolete alcune prestazioni, modifica le condizioni di erogabilità di altre, e ne introduce continuamente di nuove, per cui è evidente la necessità che i Lea vengano aggiornati. I tempi di adozione dei provvedimenti di aggiornamento, però, alla luce delle attuali esperienze sono risultati molto (troppo) lunghi rispetto alla velocità con cui si muove il mondo dell’innovazione sanitaria, il che deve indirizzare per forza verso la ricerca di altre (più snelle e veloci) strade almeno per le attività che rientrano nella logica della ordinaria amministrazione.
Il nuovo provvedimento Lea ha eliminato alcune (molte poche in realtà) prestazioni obsolete e introdotto altre (non molte) prestazioni in precedenza assenti: nel nuovo nomenclatore delle prestazioni ambulatoriali ci sono circa 400 prestazioni in più (si passa da 1.700 a 2.100), anche se non tutte sono effettivamente prestazioni nuove (alcune sono solo specificazioni o diverse descrizioni di prestazioni già presenti nel 1996); analogamente, con numeri diversi, per il nomenclatore della protesica. In prevalenza si tratta di innovazioni riferite all’installazione di protesi mentre le prestazioni ambulatoriali nuove riguardano, per grandi categorie: prestazioni diagnostiche e terapeutiche avanzate (esempio: alcune forme di radioterapia e terapie biologiche in precedenza considerate sperimentali o erogabili solo in regime di ricovero); visite specialistiche e diagnostica per immagini (vengono dettagliate le discipline coinvolte e specificati i segmenti corporei); alcune procedure legate all’intervento di cataratta e altre prestazioni oculistiche; la procreazione medicalmente assistita; la reintroduzione della fotoferesi extracorporea; e altri particolari che sarebbe lungo elencare.
Questi i fatti nella loro essenza: qualche prestazione in più (peraltro già introdotta da alcune regioni), qualcuna in meno (poco rilevante), e soprattutto le immancabili polemiche sulle prestazioni che non sono state inserite (per l’autismo, ad esempio), o sull’inadeguatezza (secondo alcuni) delle tariffe nazionali, o ancora su quante risorse in più servirebbero al Ssn per essere in grado di erogare le nuove prestazioni. In altre parole: tanto rumore per nulla.
Quello però che i commenti non hanno evidenziato è che anche questo provvedimento si limita a un elenco di attività e di prestazioni ma non si interroga sul concetto di essenzialità: sono tutte essenziali le attività erogate in ospedale? E quelle erogate negli ambulatori? E sono tutti essenziali i farmaci inclusi nel nomenclatore?
L’attuale definizione di Lea induce a ritenere che in forza del diritto alla tutela della salute (purtroppo spesso semplificato in diritto alla salute tout court) si possa esigere tutto, ma questa pretesa si scontra sia con la ristrettezza delle risorse disponibili (servirebbero, a seconda delle stime, almeno 40-50 miliardi in più) che con la ripetuta incapacità di diverse regioni (peraltro sempre le stesse da diverso tempo) di erogare i precedenti Lea (non i nuovi).
I nuovi Lea, con l’accento sulle singole nuove prestazioni e sull’adeguatezza o meno delle tariffe, veicolano l’idea di un Ssn centrato sostanzialmente sull’aspetto prestazionale e sul collegato aspetto economico: siamo sicuri che in questo modo stiamo tutelando la salute, o stiamo semplicemente erogando delle attività e delle prestazioni? Non abbiamo bisogno di qualche prestazione da aggiungere o da togliere e neppure di qualche tariffa da aggiornare, come farebbe facilmente qualsiasi manutentore dei Lea; ma abbiamo la necessità di ripensare cosa vuol dire tutelare la salute, cosa vuol dire curare, e questo implica per quanto riguarda i livelli di assistenza la ridefinizione del concetto di essenzialità.
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