Dio in braccio a noi

Simeone abbracciò Gesù. Il mondo, nel mondo, diceva che l'uomo era nelle braccia di Dio, che ha bisogno di noi

Nessun evangelista si è mai permesso di dire ch’era un vecchio decrepito come lo immaginiamo noi. Chi scrisse di lui, invece, ne parla in termini di cuore e beatitudine: “Uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele“. In più, quel di più che fa (sempre) la differenza: “Lo Spirito Santo era su di lui“. La qual cosa, qualora fosse stato anche vecchio, l’avrebbe reso perpetuamente giovane: era uno di quelli che, baciati dallo Spirito, spostano la loro giovinezza dalla pelle al cuore.



Non fu un caso, nemmeno fu per caso, che Iddio, appena diventato bambino, abbia scelto di andarsi ad accasare tra le sue braccia: braccia che furono seconde soltanto a quelle della Madre, a Betlemme. Un particolare, quello delle braccia, che non sfugge all’occhio da pittore dell’evangelista Luca: “Lo accolse tra le braccia” si premura di lasciare scritto nel suo evangelo. “Che colpo di fortuna trovarsi giusto lì, nel momento in cui entrava al tempio Cristo” bofonchierà nei secoli qualcuno. Fu tutto eccetto che fortuna la sua: fu attesa, aspettativa, speranza, desiderio e prospettiva.



Simeone – è di lui che parliamo – aveva scelto di fare della sua vita un’enorme sala d’attesa del Cristo che sarebbe venuto. Era uno di quelli che, al tempo in cui si parlava, invece che mettere alla fine della frase un punto fermo, lui lasciava dei puntini di sospensione. E a chi gli rinfacciava che la sua era solo un’illusione, non pretendeva d’imporre loro la sua speranza, ma ribadiva d’essere convinto che la rassegnazione fosse un suicidio quotidiano: “Partita finisce quando arbitro fischia” fu il mantra del suo cuore. Tramontarono tante belle stagioni, mai tramontò la sua più bella speranza.



Era uno tipo: “Un vecchio Landini, che viaggia in prima ridotta” direbbero nelle galere, con linguaggio privo di fronzoli, denso di pragmatismo. Trattore vecchio ma affidabile quest’uomo, convinto di come valesse più una parola al momento giusto che cento parole al momento sbagliato. Fecero più fatica i suoi avversari nel tentativo di fiaccarne la speranza che Simeone nel tenere accesa la fiamma della sua attesa. Il Cielo – ch’è l’esatto contrario della lotteria della fortuna – ritenne di premiarlo a modo suo, cogliendo il mondo ancora una volta di sorpresa: “Lo prese in braccio“. Il mondo, nel mondo, diceva che l’uomo era nelle braccia di Dio: nessuno si era ancora azzardato di pensare che Dio stesse nelle braccia di un uomo. Il Dio che si consegna nelle nostre braccia è il Dio che non solo si prende cura di noi, ma si raccomanda di non dimenticarsi di prendersi cura di Lui.

Etty Hillesum, ebrea prigioniera ad Auschwitz, lo ripetè col fumo delle camere a gas sullo sfondo: “Tu non puoi aiutare noi, siamo noi a dover aiutare te. L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio”. In certi attimi siamo noi a dover aiutare Dio: non c’è consolazione più consolante di quella che si trova tra le braccia di chi ti ama. Ne affrontò di notti buie Simeone, ma non perse mai di vista l’interruttore della luce: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza, luce per illuminare le genti“. Luce: il fatto è che con Dio c’è sempre un’uscita di sicurezza, anche quando la storia sembrerà una strada a vicolo cieco.

Simeone credette sempre più a Dio che ai dettagli che andavano contro la sua speranza: per quest’uomo attendere era voce del verbo fidarsi, alla faccia anche dell’evidenza del mondo accanto. Per questo, tenendo Dio in braccio, gli scappò la frase ch’è sempre stata sulla bocca di tutti gli innamorati: “Adesso posso pure morire!”. Lui lo disse con parole millimetriche: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace (…) perché i miei occhi hanno visto” (cfr Lc 2,22-40). Sono giorni, questi nei quali si pronuncia questa frase, nei quali l’esperienza della gioia provata vince la paura della morte stessa. Sono giorni nei quali diciamo: “Ne è valsa la pena di fare tutta questa fatica che abbiamo fatto”. La fatica di Simeone, uomo giusto: siccome non si era rassegnato, non divenne mai vecchio decrepito. Rimase un vecchio Landini, in prima ridotta: aveva lo sguardo di chi si aspettava ancora un qualcosa dalla vita.

Quel qualcosa che, fatti tutti i conti, valeva una vita intera.

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