Come fare la differenza

Cristo cercò di spiegare che il cristianesimo non solo è differente da tutto il resto, ma il cristianesimo fa la differenza

Coloro che udirono Cristo proclamare, in diretta, le Beatitudini sulla collina sopra il lago di Genezareth, scesero rimbalzandosi tra di loro un’osservazione: “Praticamente, se ho capito bene, dovremmo cucirci addosso la Croce pure noi. Sai com’è, fratello: se tu rinfacci al mondo queste cose che ha detto, non si andrà lontani nel mondo”.



Avevano colto l’essenza più intima del discorso fatto da Gesù: più un manuale sulla felicità che un comizio elettorale o un tentativo di alzare l’indice di gradimento della platea. Sta di fatto che Cristo l’appenderanno tre anni dopo queste parole, ma l’organizzazione del Calvario – l’individuazione dell’albero, il taglio della pianta, la forma del palo, la costruzione della croce – sono iniziate appena Lui finì di pronunciare queste parole così irritanti, dannose per l’andamento umano.



Verrebbe da chiedersi, dunque, cosa propose di così eversivo da allarmare le mosche cocchiere del tempo. Verrebbe da dire “nulla che non fosse logico”: di spezzare la catena della violenza, di opporre a un avversario un potere più imbattibile del suo astio, di spedire parole angeliche a chi ci ha riservato parole piene di castigo. Già Diogene di Sinope, quattrocento anni prima, ipotizzava una condotta simile: «Il modo migliore per vendicarsi dei propri nemici è diventare migliori di loro».

Della serie che, un bel giorno, sei tu che mai in mano il coltello dalla parte del manico, ma non t’importerà più nulla di deridere o di uccidere, il tuo avversario. Anestetizzato l’istinto animale che ci abita tutti, chi potrebbe affermare il contrario senza farsi ammanettare? Eppure.



Eppure, a guardarci, c’è sempre un netto miglioramento: a peggiorarci. Poi ci si giustificherà dicendo che gli altri sono peggiori di noi, che c’è chi ha fatto di peggio, che l’altro è sempre più malvagio di me. Interverrebbe la sapienza delle nonne: “A confrontarsi con i peggiori, però, non si migliorerà mai, bambino mio”.

L’argomentazione di Cristo prende, e dipende molto, dall’influenza della nonna: “Cosa ci guadagni a comportarti così?” Nessuna differenza di tono: «Se amate quelli che vi amano (…), se fate del bene a coloro che vi fanno del bene (…), se prestate a coloro da cui sperate di ricevere quale gratitudine vi è dovuta?» Poi il colpo da capogiro: «Anche i peccatori fanno lo stesso». Quasi a rinfacciarci che vorremmo tutti diventare dei rivoluzionari, ma poi, spremuta l’arancia, il succo è che siamo tra i più conformisti.

Già al tempo di Cristo c’era il cult della differenza da coltivare: c’era chi rideva perché uno differiva dall’altro e chi rideva perché gli altri erano tutti uguali. Cristo, com’è ovvio, alzò l’asticella della discussione. Che la sua Buona Novella – che s’evolverà nel cristianesimo – fosse differente era scontato: lo era come lo è l’ebraismo, il buddismo, come lo sarà il comunismo e l’ateismo.

Lui, come potè, tentò d’innalzare la pretesa: il cristianesimo non solo è differente da tutto il resto, ma il cristianesimo fa la differenza. Avesse predicato una semplice differenza di prospettive, traguardi, l’avrebbero sopportato. Il fatto d’aver annunciato la pretesa cristiana di “fare la differenza” l’ha inchiodato.

Chi, soprattutto nel momento del dolore atroce – quello che, meglio di tutti, riaccende schiume di rabbia – terrà presente lo scarto tra l’essere differente e il fare la differenza, non potrà che dare pienamente ragione all’Uomo ch’è in fase avanzata di crocifissione: «Com’è meraviglioso che nessuno abbia bisogno di aspettare un solo attimo prima di iniziare a migliorare il mondo» (A. Frank).

Non ebbe mai alcun dubbio che la differenza cristiana – qualora fosse rimasta pura – avrebbe fatto la grande differenza nel mondo. Ciò che, forse, calcolò di dover ripetere a oltranza – all’indomani di ogni vendetta mondiale, di ogni disaccordo personale – fu l’atteggiamento di nonna: “Cosa ci hai guadagnato a comportarti così?”. Cristo, retorica più angelica: «Quale gratitudine vi è dovuta?» (cfr Lc 6,27-38). Il concetto non muta: per fare la grande differenza non basterà più imbrattare “Be, Think, Pink different”, ma sarà necessario vederla all’opera senza aver bisogno di dirla.

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