“L’amore del nemico costituisce il nucleo della ‘rivoluzione cristiana’, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei ‘piccoli’, che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita”.
Benedetto XVI commentò così il durissimo brano evangelico di oggi, nel quale troviamo frasi come queste: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro” (Lc 6, 27-30). Gesù sembra sdoganare l’idea che tra gli uomini possano esistere dei “nemici”. Ciascuno di noi ha in mente, del resto, persone che non ci vogliono proprio bene. Spesso siamo costretti a fare i conti con i maliziosi, i falsi, gli invidiosi… altre volte lo diventiamo noi stessi.
Lo stesso Cristo, però, che dice “amate i vostri nemici” non ha mai chiamato o ritenuto nessuno “nemico”. Ci sono due episodi del Vangelo che lo confermano. Il primo è quando viene comandato l’amore vicendevole: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15, 12-17).
Gesù si rivolge ai suoi chiamandoli “amici” e usando questo termine come contrapposto a quello che indica la servitù, intesa come estraneità al cuore del padrone. È come se dicesse: “Ciò che mi sta più a cuore è la vostra libertà, non rinunciate a questo dono, rimanete nella mia amicizia. Tutto quello di cui avevate bisogno per vivere così ve l’ho fatto conoscere”.
Sappiamo bene, infatti, che la tentazione di vivere da servi è sempre dietro l’angolo. Si presenta sinuosamente come la scelta più semplice e immediata. Ci fa arruolare nell’esercito del potente di turno, disposti a tutto per avere un posto al sole. Gesù arriva a comandare l’amore proprio come antidoto al veleno della servitù. Solo l’amore, infatti, spalanca le porte della libertà perché introduce l’audacia del dono totale di sé.
C’è un altro passo in cui Cristo usa il termine “amico”, anche se sarebbe stato più azzeccato il contrario. Siamo negli ultimi giorni della sua vita. Uno dei suoi l’ha appena venduto ai capi per trenta denari. Poi accade il fatto: “Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: ‘Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!’. E subito si avvicinò a Gesù e disse: ‘Salve, Rabbì!’. E lo baciò. E Gesù gli disse: ‘Amico, per questo sei qui!’. Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono” (Mt 26, 47-50). Impossibile immaginare il cuore di Giuda sentendosi chiamare “amico” in quel momento. Il suo tradimento è il vertice della perversione dell’amore, che Cristo aveva comandato, tanto che usa il bacio come segnale per l’arresto. L’amore ai nemici è la provocazione giusta per domandarci se ne abbiamo veramente, se c’è qualcuno che potremmo identificare così o se si tratta, in definitiva, “semplicemente” di imparare ad amare.
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