La forza di un Mistero

Ario usò immagini semplici per spiegare la Trinità, ma tradì la verità del Mistero cristiano: il Dio che s’incarna al di fuori del quale non c’è salvezza

Nel 2025 il cristianesimo ricorda i 1700 anni del concilio di Nicea, ritenuto da tutti il primo ecumenico della storia, se si eccettua il drammatico incontro fra discepoli collocato dalla narrazione degli Atti degli Apostoli nel 49 d.C. a Gerusalemme. Un concilio convocato da quel Costantino che, dodici anni prima, aveva garantito alla nuova fede proveniente dall’oriente la stessa dignità di tutte le altre fedi dell’Impero, riconoscendo che il mondo pagano era giunto al tramonto e che lo stato romano avrebbe trovato nuova energia e coesione nella possibilità di identificarsi liberamente nella vicenda umana e divina del Nazareno morto e risorto.



Nicea fu la prova evidente che quelle di Costantino erano in parte pure illusioni. I cristiani, lungi dall’essere un monolite ideologico e sociale, erano infatti costantemente attraversati da aspri scontri e tensioni che contribuivano a chiarire, anno dopo anno e passo dopo passo, la loro stessa fede. Quella cristiana era dunque una realtà dinamica e plurale, che non era facile da utilizzare come un qualunque altro potere avrebbe potuto manipolare una religione: il cristianesimo era qualcosa di più, era una vita.



E fu all’interno di questa vita e, in particolare, all’interno della sensibilità alessandrina e origenista, che maturò la predicazione di Ario, un presbitero che coniugava ampie capacità comunicative con una forte perspicacia pastorale. Dovendo infatti spiegare alla gente del popolo il mistero di Dio, egli cercò formule e immagini rassicuranti e familiari, che potessero facilmente intercettare l’attenzione e il consenso delle persone. Il Cristo, pertanto, era un mediatore tra Dio e gli uomini, come un servo che ha un suo padrone e che provvede per conto suo al raccolto del campo.

La Trinità, tra le labbra di Ario, diventava qualcosa di comprensibile e semplice, perfettamente coerente con la ragione e con l’impostazione filosofica platonica che permeava molta della mentalità popolare dell’oriente. Non contento di un tale successo, Ario mise tutto in musica e confezionò un inno, Thalia, che immediatamente attecchì tra le folle e contribuì a sedimentare il consenso verso la nuova dottrina.



A molti il lavoro di Ario parve perfetto: a diversi vescovi, che vedevano in questa semplificazione lessicale e concettuale un notevole strumento di promozione della fede, alla corte imperiale, che riscontrava una certa corrispondenza tra un Dio unico padrone omaggiato dal servo Cristo e l’Imperatore unico Augusto omaggiato dai Cesari dello stato.

Il problema, tuttavia, stava a monte: se Cristo fosse stato soltanto un servo, che credibilità avrebbe avuto la Sua azione redentrice? Che cosa Cristo salva davvero? E come fa a salvarlo? Il tema, prima che concettuale, era esperienziale: chiunque riscontrava che – avvicinandosi alla Chiesa e alla fede in Cristo – si poteva sperimentare qualcosa di divino, qualcosa che rendeva la propria vita abbracciabile e amabile. L’intreccio tra divino e umano era pertanto evidente e per negare tale fatto si sarebbe dovuto negare una parte di sé, un pezzo della propria storia e della propria strada.

Ario fu giudicato eretico non per un ragionamento dotto, ma per un’evidenza della vita. Noi possiamo mentire a tutti e raccontarci quel che vogliamo, ma non possiamo mentire alla nostra vita. La riscossa antiariana non aveva la forza persuasiva del prete di Alessandria e non possedeva i suoi stessi strumenti pastorali, ma era fondata su una verità incontestabile perché chiunque la poteva sperimentare.

La fede della Chiesa è qualcosa di oggettivo che ciascuno può accostare soggettivamente nella condizione in cui si trova, al punto che non c’è verità che appartenga al depositum fidei che non possa trovare il consenso dell’intelletto e del cuore di coloro che credono.

Ario, con la sua predicazione, eliminava il Mistero: rendeva tutto chiaro, tutto lineare e razionale. Ma questa chiarezza e questa linearità aveva un prezzo ben preciso: nella narrazione ariana Dio non toccava più la carne dell’uomo, Dio non si incarnava, non si impastava, non si introduceva nell’altro mistero dell’universo, quello del cuore e della libertà. Era chiaro che, senza quest’incontro, non poteva esserci salvezza. Quella salvezza che, al contrario, chiunque poteva toccare con mano quando si univa alla compagnia degli amici di Cristo.

La dottrina ariana naufragava nel rapporto con la realtà, così come tutte le nostre dottrine umane sugli amici, sugli amori o sul lavoro, fanno naufragio alla dura prova della vita. Il Concilio convocato da Costantino, politicamente preoccupato della divisione forte che si era creata in seno alla Chiesa, fu imbastito per riportare ordine e disciplina, ma divenne – di fatto – il primo banco di prova ufficiale in cui la Chiesa fu chiamata a scegliere tra i ragionamenti lineari e le comunicazioni efficienti degli uomini o la forza di un Mistero che nient’altro poteva testimoniare al mondo se non il fatto di essere semplicemente vero.

 

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI


Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie di Chiesa

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.