«Pensare la sanità»: credo che un titolo più adeguato di questo per parlare del Servizio sanitario nazionale (Ssn), in un momento in cui, superata l’ondata pandemica, si assiste all’emergere di tutte le difficoltà che stanno caratterizzando il suo quasi mezzo secolo di vita, sia difficile da trovare.

Lo aveva già scritto nel 2023 Giorgio Vittadini su Il Sussidiario (“Sanità, non c’è salute senza pensiero“, 17 novembre 2023), mettendo però l’accento sulla parola “salute” anziché “sanità”, per indicare che ciò di cui si ha oggi maggiormente bisogno in campo sanitario è di un pensiero sulla sanità, cioè di qualcosa di alto, di rilevante, qualcosa che superi le necessità contingenti (che peraltro ci sono, ovviamente) che limitano le prospettive a qualche aggiustamento o a un po’ di manutenzione (qualche assunzione di personale qui, qualche iniziativa sui tempi di attesa là, qualche soldo in più, qualche spreco in meno).



Una prospettiva necessaria per il Ssn, anche se di sicuro invisa alla politica (di qualsiasi colore) perché richiede uno sguardo lungo e che va al di là delle brevi finestre temporali che caratterizzano l’agire dei politici.

È stato “pensare la sanità” il filo rosso che ha portato nel 1978 – dopo un percorso durato più di 10 anni – alla creazione del Ssn, e solo “pensare alla sanità” può essere la soluzione per dare al servizio sanitario una prospettiva che, il tempo (sono passati più di 45 anni) e alcuni importanti cambiamenti che sono avvenuti (e stanno avvenendo) sia al suo interno che al suo esterno, sembrano avere reso oscura, soprattutto negli ultimi 15 anni.



Al suo esterno. È in corso un cambiamento demografico eccezionale (allungamento della vita, contrazione delle nascite, aumento della popolazione anziana, evoluzione della composizione familiare, ecc.) che sta cambiando il bisogno di salute e la domanda di servizi sanitari e sociosanitari; gli aumenti di reddito e l’associato benessere di gran parte della popolazione stanno inducendo un innalzamento della domanda di beni superiori come la salute.

Il maggiore accesso all’informazione (internet) è all’origine di una aumentata attenzione del cittadino ai temi della salute e della sanità con l’associata richiesta di maggiore partecipazione alla vita e al governo del Ssn, e così via.



Al suo interno. È cambiata l’impostazione ospedalocentrica del Ssn per dare spazio alla medicina e assistenza territoriale (come indica il Pnrr); è emersa la crisi (numerica, ma non solo) del personale sanitario (prima tra gli infermieri e ora anche tra i medici).

Stanno cambiando le patologie, con l’esplosione del tema della cronicità ma anche con il ritorno di alcune malattie infettive; lo sviluppo delle tecnologie (telemedicina, teleassistenza, ecc.) sta modificando le modalità dell’erogazione dell’assistenza soprattutto a distanza; l’innovazione chirurgica (e, più in generale, nella cura) ha drasticamente ridotto non solo le degenze ospedaliere ma tutta la attività di ricovero;

l’aumento e il cambiamento della domanda di prestazioni hanno fatto esplodere il problema della accessibilità ai servizi (lunghezza dei tempi di attesa, accesso alle strutture di emergenza-urgenza); la povertà sanitaria e la rinuncia alle cure che ne consegue, l’uscita dal Ssn di quote sempre maggiori di utenti alla ricerca di soddisfazione ai propri bisogni sanitari sono ostacoli rilevanti ai principi di equità, uguaglianza, e universalismo che sono alla base del Ssn;

le differenze di qualità ed esito delle sanità delle diverse regioni rappresentano l’origine dei rilevanti fenomeni di mobilità sanitaria; l’emergere importante del tema sociosanitario a fianco di quello più strettamente sanitario e le sue conseguenze sulla assistenza, soprattutto di prossimità: e queste solo per indicare le prime importanti variazioni che vengono subito alla mente.

Tutto questo insieme di tematiche paragonato alle attività di proposta e modifica che sono in corso evidenzia in maniera lampante che “quello che sembra difettare è un pensiero in grado di produrre una prospettiva di riforma del sistema“, cioè l’idea che il disegno della sanità già di oggi e soprattutto di quella di domani necessiti di un pensiero forte “sulle prospettive del sistema sanitario universalistico italiano … un pensiero forte in grado di orientare una adeguata prospettiva di riforma del sistema“, perché “se da un lato uno degli aspetti critici è senz’altro la scarsità delle risorse … dall’altro, essa non è risolutiva“.

È questa l’idea di fondo che viene presentata nel recente libro di Luca Antonini e Stefano Zamagni che ha per titolo proprio “Pensare la sanità. Terapie per la sanità malata” (Edizioni Studium, 2025), in particolare nel capitolo centrale del volume (“Pigrizie intellettuali e necessità di una nuova prospettiva: alcuni spunti per un processo di riforma“).

Il libro ci ricorda innanzitutto che “Quella della sanità italiana è stata una storia complicata, segnata, in origine, da una straordinaria prospettiva costituzionale ma non sempre lineare, poi, nel suo sviluppo“, e che “nei vari movimenti che hanno segnato le tappe di riforma c’è sempre stata l’onda lunga di quella prospettiva iniziale“, appunto: un pensiero forte.

Con questa prospettiva e con l’idea che “il paziente è sempre più interessato alla ‘medicina di relazione’, il cui fondamento filosofico è nell’etica personalista, a differenza della ‘medicina cartesiana’ che pone il suo fondamento nell’etica utilitarista“, il libro non è una raccolta di spicce proposte o di soluzioni pronta cassa, un manuale per qualche aggiustamento o un po’ di manutenzione del Ssn, anche se è evidente che tante considerazioni che vengono fornite rappresentano altrettanti spunti di intervento anche immediato, ma è un invito a pensare, a lavorare per generare un pensiero forte capace di porre le basi per una riforma della sanità universalistica del nostro Paese.

Non a caso si fa esplicito riferimento alle “pigrizie intellettuali” e ai tanti che ci “vorrebbero far credere per legittimare lo status quo” che la sanità è un sistema complicato, mentre invece “quello sanitario è un sistema complesso che, perché tale, non ammette riduzionismi di sorta“.

Il libro si conclude con una domanda di sostanzioso realismo (“È possibile realizzare, in tempi non biblici, un progetto come quello abbozzato nei capitoli precedenti?“) a cui fornisce una risposta impegnativa ma determinata e ferma: “Certamente, a condizione di liberarsi dal condizionamento culturale ancora esercitato dalle due principali matrici etiche contemporanee, quella utilitarista e quella contrattualista“.

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