A inizio di millennio un grande fotografo che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, Gabriele Basilico, aveva documentato con il suo obiettivo i giganteschi scavi che preparavano la rivoluzione avveniristica dei grattacieli di Porta Nuova a Milano. Sulle steccate che circondavano quel cantiere erano state esposte, con una soluzione efficace e spettacolare, altre sue fotografie della città, come a voler assicurare una continuità tra la Milano cresciuta nel Dopoguerra e quella che stava spuntando dagli scavi.
Per chi milanese non è, va spiegato che quella del Dopoguerra era stata una città speciale, ridisegnata con una qualità edilizia fuori dal comune in tutte le sue cerchie, ma con particolare cura per le cerchie periferiche. I migliori architetti avevano progettato a Quarto Oggiaro, a Vialba, al Gallaratese, al QT8, al Gratosoglio.
Anche la Chiesa, con Giovanni Battista Montini arcivescovo, aveva dato la sua spinta: le chiese dei nuovi quartieri dove era approdata l’ondata immigratoria erano state commissionate ai più grandi esponenti della scuola milanese (una grande scuola guardata con ammirazione da tutta Europa). E così sono state costruite le chiese firmate da Gio Ponti, Gardella, Figini Pollini, Mangiarotti. Tutto il meglio… Per chi volesse farsene un’idea, basta scorrere la straordinaria mappatura fotografica che un designer olandese, Sosthen Hannekam, ha realizzato in un’app chiamata “Pure Milan”, pura Milano.
Era una Milano alle prese con pesanti contraddizioni e diseguaglianze sociali, ma che metteva in gioco le proprie risorse creative ed economiche per cercare di ridisegnarsi in maniera diversa, in particolare in quelle zone più esposte ai cambiamenti e alle nuove povertà.
A dispetto di quanto mostravano le fotografie di Basilico proposte sulle steccate del giga-cantiere di Porta Nuova, quello che è accaduto in questo primo quarto di millennio ha seguito priorità del tutto diverse. Il grande rinnovamento edilizio è stato all’insegna esclusiva di un ceto sociale: quello più ricco, calamitato a Milano da tanti fattori, che vanno da quello glamour della moda a quello più concreto dell’efficienza e dalla facilità di collegamenti con tutte le città europee che contano.
I casi politico-giudiziari che hanno riempito le cronache di questi mesi hanno portato a galla meccanismi che erano funzionali a questo processo a senso unico. Non è il caso di entrare qui nei dettagli, perché è la nuova fisionomia della città a parlare in maniera sin troppo chiara. L’espansione della Milano inaccessibile per i più ha conquistato via via pezzi di città, con operazioni di marketing molto sofisticate, come dimostra ad esempio il caso di NoLo, un quartiere inventato nobilitato con operazioni culturali molto appealing e poi diventato territorio di un processo di gentrificazione: prezzi della case in aumento verticale e progressivo ricambio di popolazione.
Quando si è trattato di costruire per rispondere ad un bisogno, come nel caso degli studentati, si è andati brutalmente al risparmio: il caso del villaggio olimpico destinato dopo il 2026 a residenze per universitari è lì a dimostrarlo, con quella sua concentrazione edilizia quasi carceraria.
In queste settimane si è visto sui muri della città un manifesto sul quale vengono messi in fila con orgoglio i nomi delle archistar di tutto il mondo che hanno firmato edifici a Milano in questi anni: tutti i loro progetti sono naturalmente concentrati nel cerchio d’oro, in una spirale di denaro che chiama denaro.
A differenza di quanto era accaduto nel Dopoguerra nessuna grande firma è stata chiamata a progettare nella città esterna, quella tagliata fuori dalla spirale del denaro. Ora questo sviluppo senza equilibrio sta mostrando le prime crepe. Ed è il momento di provare a mettere sul tavolo un pensiero per il futuro.
Per fortuna il patrimonio che la storia ha lasciato alla città di oggi è un patrimonio di cultura, di relazioni e anche di istituzioni ancora molto vivo: lo dimostra una realtà come quella di Fondazione Cariplo, che oggi rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per chi vuole impegnarsi a pensare una città diversa, cioè fedele a se stessa.
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