“Le ceneri ci ricordano la speranza a cui siamo chiamati perché Gesù, il Figlio di Dio, si è impastato con la polvere della terra, sollevandola fino al cielo. E negli abissi della polvere Egli è disceso, morendo per noi e riconciliandoci al Padre”. Così Papa Francesco nel Messaggio per questa Quaresima. Forse ci siamo abituati all’iniziativa presa da Dio. Forse pensiamo che si tratti di immagini suggestive, poetiche, di giochi letterari, e così abbiamo la scusa per trovare tutti gli alibi necessari per fare da noi.
Infatti, a ben vedere, un Dio che ha deciso di “impastarsi con la polvere della terra” è scomodo, molto scomodo. Più immaginabile è, meglio è. Più rimane un contenitore vuoto e più lo si può riempire secondo i nostri pensieri.
Per evitare queste riduzioni, però, il Mistero si è fatto uomo, fino a discendere “negli abissi della polvere”. Ci ha raggiunto nel punto in cui non possiamo barare, perché messi alle strette dal nostro bisogno e dalla nostra fragilità.
Lo ha detto efficacemente il Papa nell’omelia per lo scorso Mercoledì delle Ceneri, letta dal card. De Donatis: “Sono tanti i momenti in cui, guardando la nostra vita personale o la realtà che ci circonda, ci accorgiamo che ‘è solo un soffio ogni uomo che vive […] come un soffio si affanna, accumula e non sa chi raccolga’ (Sal 39,7). Ce lo insegna soprattutto l’esperienza della fragilità, che sperimentiamo nelle nostre stanchezze, nelle debolezze con cui dobbiamo fare i conti, nelle paure che ci abitano, nei fallimenti che ci bruciano dentro, nella caducità dei nostri sogni, nel constatare come siano effimere le cose che possediamo. Fatti di cenere e di terra, tocchiamo con mano la fragilità nell’esperienza della malattia, nella povertà, nella sofferenza che a volte piomba improvvisa su di noi e sulle nostre famiglie”.
Sono tante le cose che sembrano avere la forza di toglierci il fiato. Opprimono, stringono, non lasciano scampo. E quando tutti i nostri accorgimenti vanno in frantumi, allora possiamo fare la verifica di ciò che rimane in piedi.
Per questo il Figlio di Dio è disceso fino al livello degli abissi della nostra polvere: per liberarci finalmente dalla paura di ciò che in noi ha i connotati di una strada senza uscita, come ha detto sempre il Santo Padre mercoledì scorso: “Se riceviamo le ceneri col capo chino per ritornare alla memoria di ciò che siamo, il tempo quaresimale non vuole lasciarci a testa bassa ma, anzi, ci esorta a sollevare il capo verso Colui che dagli abissi della morte risorge, trascinando anche noi dalla cenere del peccato e della morte alla gloria della vita eterna”.
L’irrompere della sua iniziativa nella nostra vita, che porta il nome della Misericordia, è l’unica strada di libertà che ci permette di ricominciare sempre, abbracciando tutto di noi, polvere compresa. Che differenza rispetto alla mania di imporre i nostri progetti e le nostre interpretazioni, magari accusando quelle degli altri.
È una bella sfida questa Quaresima, come ogni Quaresima, che arriva dritta al cuore di ogni questione: io chi sono? Chi sono se Dio ha deciso di farmi compagnia fin nel punto più basso del mio umano? Chi sono se nessuno è in grado di risollevarmi proprio nel mio bisogno più struggente? Chi sono se neppure la polvere in cui finirò potrà avere l’ultima parola?
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