Attraverso la presenza dell’angelo che “entra” nella sua casa Dio si fa incontro a Maria, proponendosi alla libertà di quella giovane ragazza: l’imponderabile compimento che l’Altissimo vuole dare alle promesse fatte al suo popolo non è né la riconquista della terra dei padri, né un’egemonia politica o religiosa di Israele: è sé stesso, l’Emmanuele, il Dio-con-noi (cf. Is, 7,14). L’“Eccomi” con cui Maria risponde a questa iniziativa dello Spirito di Dio consente così al Mistero di porre la sua “tenda in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,14), “in noi” (cfr. Rm 8,9).
La festa di Maria Madre di Dio, con cui si apre ogni nuovo anno, ci porta così a domandarci cosa realmente sia all’altezza delle attese, domande e ferite del cuore, di quelle promesse che non solo il popolo eletto ma ciascuno di noi sorprende, negli alti e bassi della vita, al fondo del proprio essere. Solo chi sperimenta quello “spostamento” che dovette vivere innanzitutto la Madonna può accorgersi, infatti, che né un pezzo di terra, né una supremazia politica e nemmeno la liberazione dall’oppressione romana, sono risposte realmente adeguate al nostro sconfinato bisogno.
Per questo, nella sua “condiscendenza” infinita, Dio non si accontenta di mandare un nuovo profeta, non gli basta più nemmeno richiamare alla legge: affinché l’uomo si potesse accorgere di come fossero divenute “piccine” le sue attese, l’Altissimo “riversa” sé stesso nella storia: egli si fa uomo perché noi sperimentassimo cosa significhi vivere da Dio. Realmente egli risponde al grido del profeta, “squarcia i cieli”, “scende” (cfr. Is 63,19), si fa vicinissimo, “cielo” e “terra” si uniscono: il “Dio del cielo” (Ne 1,4) si fa carne. Proprio così, a partire dal grembo della Madonna la realtà quotidiana dell’umano si manifesta come lo spazio del rendersi presente di Dio nella storia, una presenza discreta, come “un germoglio” che spunta alle radici, ben radicato nella terra (cfr. Is 11,1).
Maria è colei che per prima ha sperimentato tutto questo. Per questo dopo l’annuncio dell’angelo “andò di fretta verso la regione montuosa” dove abitava Elisabetta: l’inaspettata gravidanza della parente era il segno indicatole dall’Angelo in cui poter nuovamente intercettare l’agire concreto di Dio nelle loro vite. La semplicità assoluta, la purità di Maria si rivelano qui nell’immediatezza di questo desiderio che si fa mossa rapida, corsa senza indugio: è tutta dominata dall’urgenza di ri-sorprendere il Mistero presente.
È come se con questa corsa nel grande mare della storia si levasse, a partire dal farsi carne di Dio, una prima impercettibile increspatura. Una increspatura destinata a dilatarsi, come se la storia tutta, proprio a partire dal grembo della Madonna, si rivelasse il luogo del sempre nuovo farcisi incontro del Mistero, lo spazio del nostro sempre nuovo poterlo cercare. Quante altre “corse” seguiranno questa prima corsa di Maria! Quella di Pietro che cerca Gesù nella luce dell’aurora di Cafarnao, “tutti ti cercano!” (Mt 8,37); la corsa della Maddalena al mattino di Pasqua; la corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro e quella di Paolo che si protende nella corsa, lui che è già stato afferrato da Cristo (cfr. Fil 3,12).
A partire dall’esperienza della Madonna, visceralmente abitata dalla presenza del Mistero, si spalanca un orizzonte nuovo per l’umanità tutta: il potersi imbattere in uomini e donne afferrati dallo Spirito di Cristo, davanti ai quali sperimentiamo tutta l’ampiezza del nostro stesso umano. Per questo anche oggi, come scrive don Giussani, “Gesù Cristo […] si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di una umanità diversa. L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. […] Quest’imbattersi della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di assolutamente elementare, che viene prima di tutto, di ogni catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo di essere visto, intercettato, che suscita uno stupore, desta un’emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire, in forza della sua corrispondenza all’attesa strutturale del cuore. “Poiché in realtà – come dice il cardinal Ratzinger – noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza”. È nella corrispondenza il criterio del vero. L’imbattersi in una presenza di umanità diversa viene prima non solo all’inizio, ma in ogni momento che segue l’inizio: un anno o vent’anni dopo” (L. Giussani, Qualcosa che viene prima).
È questo che oggi come ieri mette realmente in movimento, in corsa, l’umano di ciascuno: per coloro che intercettano e sperimentano questa vita nuova di Cristo, il suo Spirito vivente nell’umano, una sola cosa diviene sempre più decisiva: rivederlo, tornare a intercettare questo “tipo umano diverso”. Perché? “Perché – scrive ancora don Giussani – incomincia a farti presentire a fare sussultare in te qualcosa, come la Madonna quando è andata da Elisabetta, che le ha fatto sussultare il bambino nel seno: sussulta il bambino che uno ha dentro, il bambino della propria umanità di cui prima non si accorgeva neanche! È questo rendere ragione di sé: io voglio quel tipo umano perché desta la mia umanità” (L. Giussani, Dall’utopia alla presenza, p. 337).
Per questo ogni nuovo anno che inizia la Chiesa ci suggerisce di tornare a guardare innanzitutto a Maria, la prima in cui tutto l’umano si è scoperto ridestato secondo un’ampiezza e una bellezza inimmaginabili, perché fissando lo sguardo in lei ci si possa sorprendere di Colui che desta tutta la nostra umanità.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.