Un paziente positivo su tre negli ospedali italiani viene ricoverato non per la malattia da Covid, ma per curare altre patologie: traumi, infarti, emorragie, scompensi, tumori. Cioè il 34% non manifesta segni clinici, radiografici e laboratoristici di interessamento polmonare – in pratica, è stato ricoverato con il virus, ma non per il virus –, ma ha bisogno di assistenza per tutt’altro, e la sua positività viene rilevata al momento del tampone pre-ricovero. I dati emergono da uno studio condotto dalla Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) sui ricoveri in sei grandi aziende ospedaliere e sanitarie: Asst Spedali civili di Brescia, Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova, Irccs Aou di Bologna, Policlinico Tor Vergata Roma, Ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino e Policlinico di Bari. In tutto sono stati analizzati 550 pazienti, un campione pari al 4% del totale dei ricoverati negli ospedali italiani. Per la stragrande maggioranza, il 36% del totale dei pazienti positivi ma senza sintomi respiratori, si tratta di donne in gravidanza che necessitano di assistenza ostetrica e ginecologica, il 33%, invece, è composto da pazienti che hanno subito uno scompenso della condizione internistica derivante da diabete o altre malattie metaboliche, da patologie cardiovascolari, neurologiche, oncologiche o broncopneumopatie croniche, l’8% riguarda pazienti con ischemie, ictus, emorragie cerebrali o infarti, un altro 8% è rappresentato da quei pazienti che devono sottoporsi a un intervento chirurgico urgente e indifferibile pur se positivi al Covid, e il restante 6% da pazienti che arrivano al pronto soccorso a causa di incidenti e richiedono assistenza per traumi e fratture. “Questa indagine – osserva Camillo Rossi, direttore sanitario dell’Asst Spedali Civili di Brescia – ci aiuta a individuare le domande di assistenza in una prospettiva tale da riorientare l’organizzazione sanitaria, così da rendere le risorse, dagli spazi al personale, più compatibili con l’andamento dell’epidemia”.



Secondo l’indagine, il 34% dei pazienti ricoverati in ospedale non è malato di Covid, ma soffre di altre patologie. Come va letto questo numero?

Noi partecipiamo fin dall’inizio a questa rilevazione, in cui si raccolgono dati dai sei ospedali sentinella, che è importantissima, perché consente di porre nella giusta luce i problemi, tracciando un quadro più preciso sull’andamento della pandemia e del virus.



E cosa emerge in sostanza?

Si rileva, da un lato, una pervasività della variante Omicron e, dall’altra, il fatto che aumenta la platea degli infetti. E questo aumento di contagiosità, su numeri assoluti molto elevati, provoca un rimbalzo dei ricoveri.

Con quale impatto sulla vostra struttura ospedaliera?

Pur nella fatica delle terapie intensive, perché tutti gli operatori sanitari sono sotto pressione, oggi si nota una minore “sofferenza” nei reparti Covid e un maggiore impegno dei reparti per acuti intensivi. E tutti insieme stiamo cercando oggi di trovare le risposte migliori. Noi comunque stiamo tenendo su tutti i fronti e stiamo adattando la nostra risposta a questa domanda di assistenza.



E come vengono gestiti i malati Covid e i ricoverati per altre patologie ma che risultano positivi?

I trattamenti d’emergenza vengono tutti gestiti e collocati, rispettando i massimi requisiti di sicurezza, in luoghi appropriati.

I numeri della Fiaso possono cambiare la “contabilità Covid” dei ricoveri?

È probabile. Bisogna però sempre tenere presente la distinzione fra la malattia clinica e il fatto di essere portatore del Sars-Cov-19.

Vale a dire?

Va considerata la possibilità infettante dei positivi: chi clinicamente ha un’altra patologia ma è positivo può contagiare gli altri.

Questo dato conferma il fatto che contagiato non vuol dire malato?

La Omicron può dare anche delle semplici sintomatologie delle vie aeree superiori.

I pazienti ricoverati per Covid hanno un’età media di 69 anni. Significa che ancora oggi la mortalità è più elevata nelle fasce più anziane?

La media della mortalità è in effetti più bassa rispetto alle ondate precedenti, perché oggi muoiono soprattutto persone anziane che non sono state vaccinate o che sono state vaccinate con la seconda dose molti mesi fa e non hanno ancora ricevuto il booster, ed è ormai accertato come dopo 4 mesi dalla seconda dose emerga una maggiore suscettibilità al virus. Poi ci sono i malati patologici, i grandi anziani e gli immunodepressi. In generale, però, chi non è vaccinato, come mostrano le statistiche, rischia molto di più il decesso rispetto ai vaccinati, anche nelle classi di età intorno ai 50 anni.

Vista l’alta contagiosità della Omicron, dobbiamo aspettarci di dover far fronte a un numero sempre più ampio di ricoveri per patologie non Covid in pazienti che, però, hanno l’infezione?

È probabile che tra un po’ ci ritroveremo nei ricoveri più pazienti positivi. Infatti più si fanno diagnosi molecolari, più si trovano i cosiddetti infetti incidentali, cioè persone che plausibilmente si sono infettate qualche giorno prima di entrare in ospedale. E questi possono andare a sommarsi ai positivi di lungo corso, che magari non sono più infetti dal punto di vista clinico, perché in loro sono stati rilevati solo frammenti virali. E qui si apre una domanda.

Quale?

Chi ha un risultato del molecolare positivo ma a bassa carica ha potere infettante?

La risposta?

Questo è un mondo tutto da scoprire, un fenomeno ancora tutto da studiare.

Alla luce dei dati Fiaso va riprogrammata l’idea dell’assistenza, creando non solo reparti Covid e non Covid?

Questa riprogrammazione è ancora oggetto di studio e di discussione, perché bisogna sciogliere una serie di nodi, come quello sulla capacità infettante di cui parlavo prima. In questa fase bisogna essere molto prudenti, posto che non insorgano altre varianti o ricombinazioni del virus.

(Marco Biscella)

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