Buongiorno Direttore,
sono un suo lettore e le scrivo perché ogni media (social, televisione, giornali) ricorda che ieri (21 gennaio) ricorreva il centenario della nascita del PCI. In particolare, a Livorno si celebra la famosa scissione che avvenne durante il convegno del PSI al teatro Goldoni, quando una parte del partito, guidata da Bordiga e Gramsci, abbandonò il teatro per fondare il nuovo PCI. Non le scrivo per fare un trattato storico sul tema, non ne sarei assolutamente in grado, ma per raccontarle cosa è stato e cosa è per me Livorno.
Quanto detto sopra è ciò che ho imparato da piccolo dai miei genitori. Ogni volta che passavo di fronte al Goldoni, se ero insieme ad una persona di almeno 50 anni, mi sentivo dire “Ah qui è dove è nato il partito comunista sai, è famoso il Goldoni”. Sono nato e cresciuto a Livorno e ho vissuto lì fino ai 18 anni; poi mi sono trasferito, prima per motivi di studio, poi per motivi di lavoro e soprattutto affettivi a Milano. In questi anni la domanda che mi sono sentito rivolgere più frequentemente è stata: “Ma come fa un livornese a essere cristiano?”. La mia famiglia è cristiana cattolica, ma l’aria che respiravo era quello di una società particolare.
Da un parte il Partito: un’entità presente nella tua vita. Tutti erano riconoscenti al partito perché magari, attraverso quello, avevano trovato il lavoro, la casa, avevano una serie di rapporti di amicizia o altro. L’adesione al partito nasceva da fatti concreti, non era solo ideologica. Durante la primavera/estate, poi arrivava la Festa de l’Unità. Un evento incredibile. Solo abitando a Livorno uno poteva rendersi conto di ciò che era. Tutta la città si fermava per costruire questo evento. Molte persone davano il loro tempo gratuitamente perché credevano nel partito. Sta di fatto che (se ricordo bene, per almeno una settimana) tutta Ardenza (località di Livorno adiacente al mare) e il lungo mare erano invasi da bancarelle, ristorantini, tavolini, palchi e altro ancora. Una piccola città nella città. Potevi comprare libri, dischi (i vecchi vinile), passeggiare, bere una birra con gli amici, ascoltare un incontro o sentire un concerto musicale.
L’altra faccia della medaglia della città di Livorno, era ed è la Madonna di Montenero. Una Madonna miracolosa a cui è dedicato un Santuario posto su una collina che domina tutta la città. Tutti i livornesi le sono affezionati, tutti vanno a chiedere le grazie alla Madonna di Montenero, chi per un figlio, chi per un esame, chi per il matrimonio. Nel 1472 la Madonna salvò la città da un piccolo tsunami (ne sono rimasti ancora i segni in città) e i Livornesi come ringraziamento promisero di non iniziare mai il carnevale prima del 27 Gennaio (data del maremoto).
Non voglio convincerla che i livornesi siano un popolo particolarmente devoto, ma che vedono la Madonna come la propria mamma, e alla mamma uno vuole sempre bene e soprattutto alla mamma, quando si ha bisogno, si chiede tutto e anche con insistenza. Questo senza scandalizzarsi, se dopo aver acceso una candela (a Livorno si chiama moccolo) per chiedere una grazia, si torna giù al mare per andare alla festa de l’Unità. Forse non lo sa, ma ai livornesi, puoi dire di tutto ma non puoi toccar loro la mamma, perché si potrebbe andare incontro a spiacevoli discussioni se non peggio. La Mamma (la Madonna di Montenero), infatti è rimasta ancora lì a proteggere tutti i suoi figli, e credo li proteggerà ancora in questi giorni accompagnandoli per la strada che ognuno di loro (di noi) ha scelto, anche durante i festeggiamenti del partito comunista, perché in fondo le mamme sono così: ti guardano sempre con tenerezza e non smettono mai di volerti bene.
Un livornese