“Posso immaginare un mondo senza romanzi e senza poesie, ma non un mondo senza teatro, perché il teatro che cos’è? È il bisogno di pronunciare una richiesta di perdono attraverso una confessione, la confessione di fatti avvenuti. Perché la confessione è un fatto, non la si può teorizzare. O accade o non accade”. Questo è il teatro per Giovanni Testori: un punto di connessione tra la parola, strumento principe della sua professione-vocazione, e la vita. Luogo in cui, per dirla con una formula da lui coniata, la carne si fa verbo. Cioè trova il modo di testimoniarsi pubblicamente come domanda di senso e di salvezza.
Il teatro è tutto per Testori, nel senso che non c’è parola da lui scritta che non custodisca in sé un Dna teatrale. Confessava: “Io sento che la parola che scrivo ha bisogno di essere detta, pronunciata. È come se, messa così, sul libro, non avesse ancora detto tutto quel che ha da dire. Solo il teatro la libera completamente”. È questa coscienza che lo ha portato non solo a scrivere testi che hanno segnato la storia della drammaturgia italiana del secondo Novecento, ma a proporre esperienze che hanno strappato il teatro da quel ripiegamento che lo trasformava in rito borghese di intrattenimento colto e spesso malinconico. Per Testori il palcoscenico è sempre stato vissuto come un’avventura e una sfida, in cui ogni volta entrava in gioco la vita. Era accaduto così nel 1972 quando sulla spinta di un’imprevista amicizia con un grande attore comunista e con una giovane regista ebrea, aveva lasciato il Piccolo Teatro, istituzione troppo “stabile” e a rischio conformismo per lui, e si era lanciato nell’avventura di un nuovo teatro, lontano dal centro della città, un teatro povero e intimamente nomade: il Salone Pier Lombardo, oggi Teatro Franco Parenti dal nome dell’attore che con lui aveva lanciato la sfida.
Una storia straordinaria di cui è stata testimone Andrée Ruth Shammah, allora 25enne, a cui Testori aveva affidato la regia del testo con il quale quel teatro si era presentato alla città: L’Ambleto. Si trattava di una rivisitazione del testo shakespeariano, scritta in una lingua pensata “sul corpo” di Franco Parenti, in cui rifluivano tutte le inquietudini e le speranze che agitavano la vita dei giovani nell’Italia di quegli anni. È una vicenda culturalmente e umanamente straordinaria che al Meeting potremo rivivere grazie alla testimonianza di Andrée Ruth Shammah.
Passano pochi anni e ritroviamo Testori ancora in prima linea in una nuova avventura fuori da tutte le convenzioni. Nel 1978 aveva affidato ad una compagnia di giovanissimi attori di Forlì, il Teatro dell’Arca, un suo testo, Interrogatorio a Maria; lo spettacolo con la regia di Emanuele Banterle, allora 22enne, avrebbe superato le 300 repliche, girando tutta l’Italia. Ancora una volta il teatro si trasformava in “avvenimento”, dove si riviveva come storia presente il momento del concepimento di Maria. Un teatro-rito nel quale spariva la distanza tra attori e spettatori.
Tra gli attori di quella compagnia c’era Andrea Soffiantini, al quale Testori avrebbe poi affidato un altro suo testo, Factum est: al Meeting sentiremo raccontare dalla sua voce quell’avventura. In questo 2023 ricorrono i 100 anni dalla nascita e i 30 dalla morte di Testori. Siamo di fronte ad uno scrittore che continua ad essere più che mai “vivo” per chi fa teatro in Italia. Ne sa qualcosa Valter Malosti, uno dei maggiori registi oggi sulla scena, direttore di Ert, Emilia-Romagna Teatro. Nel suo curriculum ci sono ben sei spettacoli testoriani realizzati negli ultimi 20 anni.
Tra questi Maddalene, lo spettacolo presentato lunedì 21 al Teatro Galli di Rimini in occasione del Meeting e ricavato dalle folgoranti poesie dello scrittore milanese dedicate alla più celebri rappresentazioni della Maddalena nella storia dell’arte. Malosti è il terzo protagonista dell’incontro dedicato all’amicizia tra Testori e il teatro: voce di un protagonista di una generazione diversa e che quindi non ha mai conosciuto lo scrittore, ma che è testimone della vitalità della sua parola e dei suoi testi.
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