Se vi sembrano pazzi, non prendetevela con voi stessi: non lo sembrano, lo sono davvero. Come diversamente definire uno come Mark Zuckerberg, che in due anni, gli ultimi due, assume quasi 20mila persone per dimostrare al mercato che crede tantissimo al suo progetto di Metaverso e adesso ne licenzia 11mila per dimostrare al mercato che sa come ridimensionare i suoi sogni di gloria? Con la tasca degli altri, però?



E che cosa dire di Jeff Bezos – patron di Amazon: tutt’altra roba, basti pensare che Bezos ha 1 milione e 200mila dipendenti, Zuckerberg solo 80mila dopo i tagli – il quale nella stessa giornata annuncia 10mila licenziamenti e anche l’intenzione di donare parte della sua ricchezza (120 miliardi di dollari) “all’umanità”? Non faceva prima ad assumere quei 10mila come camerieri per le sue ville?



E che dire di Elon Musk? Parliamone! L’uomo più intelligente del mondo ha detto ai dipendenti di Twitter: “O date tutto il meglio di voi stessi per l’azienda o vi licenzio” e nel frattempo si è pagato – o meglio: pretende di pagarsi un bonus da 56 miliardi di dollari come capo di Tesla. Avete letto bene: 56 miliardi di dollari, che sembrano però tanti anche in America, tanto che Musk è in tribunale.

L’elenco potrebbe continuare, ma non ai livelli dei tre tenori dell’innovazione: fatto sta che nel 2022 i gruppi tech della Silicon Valley hanno tagliato complessivamente 100mila posti di lavoro! Tra gli applausi degli investitori, che quando vedono scorrere sangue sociale, brindano, e fanno salire i titoli dei macellai in Borsa.



Una strage dovuta al fatto che queste bestiacce mangiano fuffa e listino, promettono risultati mirabolanti nei loro mestieri che non raggiungono ormai più da tempo, e in cambio alimentano delle “equity stories”, cioè delle visioni sul futuro, di solito miracolistiche, che non si verificano mai.

Nel frattempo il mondo delle criptovalute è sconvolto dal crack della piattaforma Ftx. Niente paura: un imbroglione come tanti. Niente di nuovo. O meglio, di nuovo c’è lo strumento della truffa, oggi le cripto, quattro secoli fa i tulipani, stesso imbroglio. Il bancarottiere stavolta è tal Sam Bankman Fried (“banchiere fritto” in traduzione letterale, peccato che assieme a se stesso abbia fritto anche 3 o 400mila fessi che si sono fidati di lui!). Ha mandato in fumo 30 miliardi di dollari (2, pare, in Italia) per fregarsene una decina. È auspicabile che lo trovino e buttino via la chiave. Ma intanto la malapianta delle criptovalute non regolamentate alligna e cresce, cooptata nella loro contabilità clandestina dalle narcomafie che usano le cripto per denominare in modo condiviso i loro baratti di merci proibite.

Annotiamo un altro piccolo e devastante particolare. Da un paio d’anni a Wall Street l’ultima moda è quella della sostenibilità. Il mantra del pensiero unico prezzolato dai big della finanza è racchiuso nella sigla maledetta (pardon, benedetta): Esg. L’abbiamo letto mille volte: enviroment (ambiente); social (sociale); governance (buona amministrazione). Ora: i colossi del web sono spaventosamente energivori, e se ne fregano altamente, e si guardano bene dall’investire in rinnovabili, quindi distruggono l’ambiente; quanto all’attenzione per il sociale, appena c’è un povero cristo di troppo, lo licenziano in tronco (e poi: di troppo secondo loro, e per i loro errori); e quanto alla buona governance, un tipaccio come Musk ha più cause societarie addosso lui – perché straparla, promette e non mantiene, manipola i titoli in Borsa con le sue dichiarazioni strampalate – dei fratelli Dalton.

Come loro, forse solo un po’ meno spudoratamente, barano sulla sostenibilità centinaia di corporations che a chiacchiere “fanno le brave” ma in sostanza fanno… carne di porco. E del resto, si contano oggi 970 metriche diverse (avete letto bene: 970!) per misurare l’effettiva adesione di un’impresa ai parametri Esg e ai famosi diciassette “goals” dell’Onu sulla sostenibilità.

Fermate Wall Street: voglio scendere!

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