La storia è una storia nota: Dio, il Dio cristiano, dà appuntamento a Mosè, un pastore al servizio del suocero Ietro, sulla cima del Sinai. Ha una consegna urgente da fargli: le Tavole della Legge. Israele è appena uscito sfibrato, anche sfiancato, da una travagliata schiavitù trascorsa all’ombra delle piramidi e di un faraone paranoico e compulsivo. Non è ancora un popolo, una nazione: è una accozzaglia di beduini che Dio prende per mano per accompagnarla verso la libertà. Poi decideranno loro chi diventare: prima, però, bisognerà metterli in sicurezza, in condizioni di libertà.



Nascono così le Dieci Parole. Parole che nella loro brevità e concisione si accontentano di ricordare all’uomo l’essenziale: dal divieto agli idoli – con allegate le relative minacce contro gli infedeli – all’obbligo di osservare il giorno di riposo, per spingersi in un terreno più familiare con tutta una serie di obblighi riguardanti il rispetto dovuto ai genitori, il divieto di uccidere, dell’adulterio, del furto, della falsa testimonianza, della cupidigia senza freni. La domanda è d’obbligo, pensando alla noia mortale che affligge più d’un lettore al solo sentirli citare: tutti coloro che, lungo i secoli, hanno dato retta a queste dieci parole, sono da considerarsi degli imbecilli, al servizio di un Padre-padrone?



A parte il fatto che una legge, qualunque essa sia, deve presupporre sia la libertà di osservarla che di trasgredirla (altrimenti è inutile), le Dieci Parole sono un “corso di avviamento alla libertà, una forma avanzata di democrazia”, come li ha definiti Erri De Luca. Sono i gradini da non saltare per colui che, un giorno, vorrà arrivare in cima all’avventura della santità. È vero che a dettarli, come fossero parole di un comunicato stampa ufficiale, è stato Dio in persona, ma è altrettanto vero che rappresentano una sorta di esercizio della libertà umana.

Il bisogno, dunque, di riagganciarsi a queste parole millenarie, sempre così attuali anche quando non sembrerebbe, è insito nella storia di chi crede, anche di colui che non crede, di chi s’interessa del grande gioco della libertà. Del suo opposto, ch’è la responsabilità. Oggi ch’è (finalmente) tramontato il tempo in cui, anche in chiesa, si usavano le Dieci Parole come spaventapasseri – lasciando un ricordo non del tutto piacevole a generazione e generazioni di uditori – restano la forma di misurazione più credibile della nostra altezza d’uomini e di donne. A Dio, nel frattempo, più che il rigoroso rispetto delle parole, preme che l’uomo non diventi mai più schiavo di nessun faraone. Gli preme assai, visto che Iddio sa bene che la libertà è un casino così grande che, certi giorni, si rimpiangerà la schiavitù.



I 10+2 comandamenti – su Rai1, seconda serata, da mercoledì 24 luglio per sette mercoledì consecutivi – è un tentativo di rileggere questa pagina epica e profetica con la maggiore onestà possibile. Siccome in molti (Benigni, in primis) han messo le mani in questo giacimento di bellezza per renderlo appetibile al pubblico, noi abbiamo scelto di rileggerli bussando alla porta di chi, in vita sua, o ha infranto quel comandamento oppure sta pagando sulla sua pelle il peso di un’infrazione perpetrata da qualcuno. Raccontandoli a rovescio, per negazione, ci sembra appaia più fulgida l’evidenza che la libertà non la si potrà gustare pienamente se prima non la si sarà perduta, anche soltanto per un istante. La libertà, come l’amore, le cose affini: quelle che hanno a che fare con la verità, la bellezza, la bontà.

Racconteremo così le Dieci Parole, più le due – da qui il titolo “10+2” – nelle quali Gesù, nel Vangelo, fa una splendida sintesi dell’intero decalogo allo scriba che glielo chiede: “Dio e il prossimo, da amare al modo in cui ami te stesso”. Il cristianesimo è tutto qui: d’altra parte se uno oggi cerca ancora Dio, non è certo per l’ordine scoperto nel cosmo, ma per il disordine che sente fioccare dentro se stesso. Quando, poi, si conoscerà la giusta direzione, uno si sentirà più stimolato rispetto a quando andrà a zonzo. Nel frattempo, Dio s’impegna ad assicurare la libertà a chi accetterà d’allearsi con Lui.

Il programma I 10+2 comandamenti ideato e condotto da don Marco Pozza è prodotto dalla casa di produzione Officina della Comunicazione di Nicola Salvi ed Elisabetta Sola, in collaborazione con Rai Documentari. La regia è firmata da Luca Salmaso, la supervisione è di mons. Dario Edoardo Viganò.

In ognuna delle sette puntate di questo ciclo, girate attraversando l’Italia da Nord a Sud – da mercoledì 24 luglio 2024, seconda serata, su Rai1 – verranno narrati e attualizzati due comandamenti, riassunti in sei parole chiave: Dio (“Non avrai altro Dio all’infuori di me” + “Non nominare il nome di Dio invano”), il tempo (“Ricorda il giorno dello Shabbat” + “Onora il padre e la madre”), il corpo (“Non ammazzerai” + “Non sarai adultero”), la menzogna (“Non ruberai” + “Non risponderai nel tuo compagno da testimone di inganno”), il desiderio (“Non desidererai donna di tuo compagno” + “Non desidererai casa di tuo compagno”), la cura (“Amerai il Signore tuo Dio” + “Amerai il prossimo tuo come te stesso”). Nella settima e ultima puntata, poi, verranno riletti tutti i 10+2 comandamenti in compagnia della biblista Antonella Anghinoni e dallo scrittore Erri De Luca.

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