Il corso di avviamento alla libertà – le Dieci Parole, o il Decalogo come noi lo chiamiamo – inizia in modo fiscale. Con una richiesta di esclusiva da parte di Dio: “Non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna”. È la prima volta che la divinità chiede d’essere amata! La domanda è d’obbligo: perché ha bisogno di essere amata così, correndo il rischio di venire accusata d’essere eccessiva o, tutt’al più, egocentrica e possessiva come tantissime altre divinità?
Il problema, anche il rischio, è che il popolo d’Israele è appena uscito – anzi, è stato liberato! – dopo 430 anni di schiavitù in Egitto. La situazione, però, non è ancora risolta completamente, perché l’Egitto, dal cuore del popolo, non è ancora uscito del tutto: per chi ha vissuto una schiavitù, sarà difficile togliersi dalla testa l’idea di servire. Piegarsi. Dio, invece, esige che Israele tenga dritta la barra del suo cuore, della sua libertà. Non ha problemi ad ammetterlo: “Io, il Signore, sono un Dio geloso” (Es 20,5). Che, tradotto, è questione di amore: Dio, ad Israele, ricorda che è appassionatissimo della sua libertà pagata a caro prezzo, perché è essenziale per la sua felicità. Per questo non vuole più vederlo schiavo di nessun faraone. Non accetta che si costruisca un dio su misura che, illudendolo d’esser libero di fare ciò che vuole, torni a renderlo prigioniero: “Non ti è bastata la schiavitù del faraone per firmarne un’altra?” sembra dire Dio al popolo.
Andrea, nome in codice e protagonista della prima storia de I 10+2 comandamenti (stasera, Rai1, ore 23 circa) per anni ha vissuto da isolato sociale rinchiuso nella sua camera, lo schermo del pc come nascondiglio. Nato libero, si è reso schiavo di una dipendenza che, lentamente, l’ha spento. Mentre ascoltavo la sua storia, mi sembrava di sentire dal Sinai l’eco di una voce: “Vedi cosa voglio dire quando dico che non devi aver altro Dio eccetto me?” Il rischio che si torni ad essere schiavi è alto: nuove schiavitù, travestire da dio, sono in agguato. Pochi, oggi, sono schiavi per necessità. I più lo sono volontariamente.
Poi, una volta avvisato, l’uomo faccia come meglio crede: le istruzioni sono istruzioni, non decreti. Un’unica cautela, però: facendosi gli affari propri, non si metta la firma di Dio come si invalida una giustificazione scolastica falsificando la firma dei genitori. Comandamento due: “Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio”. L’unico con relativa minaccia allegata: “Il Signore non lascia impunito chi pronuncia invano il suo nome”. D’altronde non ci capita lo stesso quaggiù? Quando i giuramenti si moltiplicano, perdono la forza e piano piano diventano inutili. Così è anche di un nome: meno lo si pronuncia, più valore ha. Quello di Dio, poi, è un nome sacro, impronunciabile, figurarsi se non fa le bizze quando se lo trova come firma su atti disumani.
Come accaduto nella storia di Venanzio Gibillini, un ex deportato nei campi di concentramento nazisti. Lì, le SS reggevano i loro pantaloni con delle cinture nelle quali c’era scritto: “Dio è con noi” (“Gott mitt uns”). La sua storia – la seconda storia della prima puntata – è un monito, anche un promemoria: “Non ti azzardare di portare Dio a spasso dove ti fa comodo. Non colmerai la tua follia taroccando le mie generalità. Non azzardarti, altrimenti saranno guai” sembra ripetere ancora Dio tra le pieghe e le piaghe dell’oggi. Nominare Dio invano, dunque, non è solo pronunciare una bestemmia: è tentare giustificare una stravaganza nostra facendola passare per volere di Dio. Qui, la bestemmia sale di potenza: fa infuriare Dio in persona.
Iniziano così le Dieci Parole: “Non guardare gli idoli, guarda me! E che non ti vada di usare con leggerezza il mio nome”. C’è qualcosa di forte, di esclusivo in quest’inizio. C’è anche qualcosa di delicato: nessun padre si diverte a vedere suo figlio con le manette. Nessuna madre prova gioia nel vedere falsificata la sua firma dal figlio. Perché Dio dovrebbe essere diverso? In fine dei conti lo chiamiamo “Padre nostro”. Se non è così, la camicia è stata abbottonata male.
La prima puntata del programma “I 10+2 comandamenti” (in onda stasera) ha come titolo: “Dio”. Attraverso la storia di Andrea e di Venanzio Gibillini, don Marco Pozza racconterà e cercherà di attualizzare le prime due parole del decalogo dato da Dio a Mosè: «Non avrai altri dei di fronte a me» e «Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio».
Il programma, in sette puntate, è prodotto da Officina della Comunicazione in collaborazione con Rai Documentari. La regia è firmata da Luca Salmaso con la supervisione di mons. Dario Edoardo Viganò. La prima puntata è stata girata nella città di Milano. Tempo di durata: 60′.
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