Una 14enne bengalese che vive a Ostia diventa, sua malgrado, protagonista di una storia raccapricciante. L’adolescente finisce all’ospedale picchiata ripetutamente dal fratello e dalla madre perché rifiuta di indossare il burqa. Per questo la giovane si è rivolta ai carabinieri raccontando, tra l’altro, che i genitori la vogliono punire rimandandola in Bangladesh. E ora le ipotesi di reato ventilate dalla procura dei minori di Roma nei confronti dei parenti sono di maltrattamenti e lesioni personali.
È una storia raccapricciante quella di chi, per difendere la propria dignità, finisce in ospedale, eppure è una storia accaduta davvero, ed è avvenuta ai giorni nostri e nel nostro Paese. È incredibile come dei genitori, dei familiari, possano, per una fede radicata, per delle consuetudini sociali, non vedere più il volto del figlio o della figlia, non riconoscergli il diritto di esistere con i lineamenti che si è scelto, con la sua personalità. È una violenza che va oltre le botte, che è peggio della prognosi pure tremenda data dall’ospedale. È la negazione dell’amore che fa vincere il possesso. I genitori non sono i proprietari della vita dei figli.
Nessuna fede religiosa può alimentare l’illusione di onnipotenza di chi crede di avere qualsiasi diritto su chi ha messo al mondo. Nessun genitore ha la disponibilità della vita, dei pensieri, delle scelte, dei figli. La storia della giovane originaria del Bangladesh, che ora si trova in una struttura protetta, pare l’orribile caricatura, al contrario, di quella di Pinocchio. Lì Geppetto desidera fare di un pezzo di legno un bambino vero, qui una madre e un fratello indegni di questo nome vogliono fare di una persona vera, in carne e ossa, un pezzo di legno.
Il problema non è solo di un fondamentalismo religioso che, in quanto tale, è radicalmente contrario ad ogni religione: si tratta di quel male terribile per cui dei genitori vedono nei figli che generano non dei doni da far crescere liberi di diventare chi desiderano, ciò che vogliono, ma meri prolungamenti di se stessi. E questo è il contrario del dare la vita. È, al massimo, creare replicanti, degli schiavi che appena potranno si ribelleranno con tutte le forze ai loro carnefici.
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