Si chiamavano Giorgia Saja e Lorenzo D’Amico. 15 anni lei, 22 lui. Sono morti suicidi in momenti diversi. Prima lui quest’estate a Eboli, con un colpo di pistola, poi lei sotto le ruote di un treno ad Acropoli, qualche giorni fa. A volte il buio fa più piacere della luce, il nulla prevale sul tutto. Forse il tutto non c’era più, era divenuto qualcosa di piccolo e il dramma, il non senso lo hanno annientato.



Poveri uomini, quanta potenza e debolezza alberga nel nostro io,  potenti e fragili, coscienti di esistere e spaventati dalla consapevolezza dell’essere. Alcuni più  sensibili, anche giovanissimi, meno addomesticati dall’abitudine di vedere il giorno, meno capaci di arrabattarsi nelle intricate vie dell’esistenza, sono attanagliati dal dubbio. Niente lenisce il dolore. Non c’è più certezza sulla via, tutto è vano. Per Lorenzo forse qualche problema psichico, che tuttavia non spiega e non permette di capire la ferma e premeditata volontà di annientarsi.



La malattia non spiega la morte, non permette di voltare pagina, pensando di aver capito. Non abbiamo capito nulla, perché non c’è risposta frettolosa che risolva il dramma. Noi lettori frettolosi che attraversiamo le notizie quotidiane, ci eravamo già girati dall’altra parte. Dimentichi. E invece la morte della sua ragazza, l’altro giorno alla stazione di Acropoli ha riaperto il caso. Ha spalancato la voragine della nostra domanda, ha rarefatto la dimenticanza in cui ci eravamo difesi.

Perché Giorgia? Perché ti sei lasciata prendere dalla nostalgia del tuo tutto, che era divenuto nulla? Perché il tarlo della morte ti ha svuotato piano piano, attendendo con pazienza, giorno dopo giorno quel treno? Volevi rivederlo, volevi aleggiare con lui nelle profondità del mistero, o semplicemente nulla aveva valore senza il volto del tuo Lorenzo?



Siamo piccole creature che giochiamo col destino, “carnali come sempre”, ma purtroppo questa carne non è solo pura materia, ha un inspiegabile plus valore. Non la puoi buttare sotto un treno e basta, non finisce lì. Non è inerte, è viva e cerca disperatamente un senso. 

Sì Giorgia, hai cercato senza sosta un senso, l’hai cercato e non l’hai trovato, in questa povera stagione dove nessuno indica ai tuoi coetanei e a te che non sta negli idoli, nel possesso delle cose, nella debole armonia con l’ambiente e con gli altri. Non c’è dipendenza che obnubili la mente, tale da soddisfare il desiderio del bene, del bello e del vero. Chissà che orrore avrai provato a sentirti ripetere: Accontentati! Divertiti! Non pensarci più! Hai la vita davanti! O forse non hai permesso a nessuno di avvicinarsi, perché il dolore ti aveva presa e ti ha coccolato con le sue oscure carezze. Non sapevi che il tuo Lorenzo non avrebbe potuto dare un senso alla tua vita, neppure quando era in vita. Non sapevi, cara dolce Giorgia, che neppure le persone più care hanno la forza di dare uno scopo alla vita?

Siamo semplici compagni di viaggio, storpi e gobbi, capaci solo di indicarci reciprocamente la strada, prendendoci per mano, compassionevoli del grande e fragile destino che ci accomuna. Abbiamo bisogno di essere abbracciati, presi per mano e aiutati ad alzare lo sguardo. La vostra inspiegabile morte, Giorgia e Lorenzo, è una mano puntata verso il cielo, come quella di Giobbe, e con essa una voce grida senza sosta: “Perché o Dio ci ha fatti così”?