Confesso. Sono tormentato. La notizia di un suicidio va data? Specie se chi ha deciso questo gesto è un’adolescente, raccontare la sua scelta rischia presso i coetanei di avere un fascino romantico, suscitando desideri d’emulazione, quasi che il darsi la morte sia un’uscita di sicurezza accettabile. Evitare il rischio e tacere? È contro natura. Il villaggio vuole sapere, e soffocare i fatti, rifiutare di trasformarli in notizia significa soccombere e ammettere che non ci sono risposte, che il significato del vivere non sa farsi largo in questo nostro tempo. Il fascismo censurò, come del resto fecero e fanno i regimi totalitari, il suicidio ma per ragioni propagandistiche. Tacere è far propaganda al totalitarismo nichilista, quasi che non si sia in grado di affrontarlo quando impugna come un suo trionfo la morte che una fanciulla ha voluto.



Nessuno ha risposte da dare a parole. Io meno di tutti. Guai a chi abbia questa presunzione. Le formule sono idiote. C’è bisogno di compassione nello scriverne. E nel leggerne e poi parlarne con altri. E forse questa compassione per chi è morto e per la pena dei suoi cari è il compito che tocca al cronista e a tutti quando il fatto è accaduto. È un modo per dire: quella vita non è comunque stata divorata dal nulla. Cari genitori, cari amici che vi sentite colpevoli: siamo tutti dei poveretti. Aiutiamoci ad accorgersi della solitudine degli altri, dei più indifesi, cerchiamo di voler bene specie a chi sta facendo fatica. Non so fare grandi discorsi.



La notizia, infine. Una ragazza di 15 anni, nome di fantasia Laura, si è uccisa gettandosi sotto la metropolitana linea A. Lo ha fatto con determinazione, chi viaggiava sulla prima carrozza ha avuto la tremenda percezione del sussulto, come se avesse contribuito a schiacciare quella povera vita in fiore. Siamo davanti a un fatto angosciante e insieme strano. Strano perché in questa morte brilla una piccola luce di amore per gli altri. Infatti, aveva già preordinato tutto, ma pochi minuti prima Laura ha mandato un appello, dal fondo del suo buio, alle compagne di classe appena rientrate dalle vacanze di Natale. «Non fate come me, se avete bisogno di parlare con qualcuno, fatelo subito». E poi un messaggio vocale, contraddittorio con il primo, ma anch’esso teso a non far soffrire le amiche: «Mi avvio verso una nuova vita, siete meravigliose, vi voglio bene, ciao a tutte».



Laura era orfana da due anni. La mamma lavora. Non aveva percepito il “dolore mentale” che stava attanagliando la figlia. Nessuno aveva intuito il desiderio di fuggire “questa” vita che animava quella ragazza. Ne cercava un’altra. Non rifiutava la vita. Aveva dentro di sé l’immagine di una “nuova vita”. Tocca agli adulti – io credo – nel mistero della libertà mostrare che questa “nuova vita” può cominciare prima della morte. Non siamo soli.