Una strage nei giorni di Natale, dal 23 al 26 dicembre, con oltre 160 morti, messa a segno in alcuni villaggi dello stato di Plateau: 26 comunità per la maggior parte costituite da cristiani. Una tragedia alla quale la Nigeria non è nuova, che va inquadrata in una situazione di tensione fra musulmani e cristiani, ma che non può essere letta esclusivamente nei termini di un conflitto religioso. Si tratta, infatti, di una contrapposizione che in realtà va analizzata anche dal punto politico ed etnico.
Gli attacchi di questi giorni, spiega Massimo Introvigne, sociologo fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, vanno spiegati rifacendosi a un altro gravissimo episodio che si è verificato all’inizio del mese, quando 120 musulmani sono stati uccisi durante una festa in seguito a un attacco aereo dell’aviazione nigeriana, che secondo la versione ufficiale avrebbe colpito la gente per errore nel corso di un’operazione contro i terroristi.
Le incursioni nei villaggi nei giorni di Natale da parte di gruppi armati possono essere interpretate come una reazione a questo episodio, forse ingiustamente addebitato proprio ai cristiani: segno che il fondamentalismo islamico è ancora molto presente. Una vicenda, quella del 3 dicembre, le cui dinamiche lasciano comunque perplessi. Potrebbe essere il segnale di un tentativo di destabilizzazione del Paese che punti a riaccendere il fuoco dello scontro religioso e non solo. Chi possa essere all’origine di questo piano non è ancora chiaro: per capirlo bisognerà comprendere prima di tutto di chi sia la responsabilità dei fatti dei primi giorni di dicembre, probabile origine della scia di sangue che ha sconvolto il Natale nigeriano.
Come è possibile spiegare queste uccisioni in Nigeria? Quali sono i motivi di un piano così efferato?
Ci sono fattori tribali e fattori religiosi. È sicuramente un errore impostare la questione semplicemente sotto l’aspetto religioso. Così come è sbagliato dire che il fattore religioso non c’entra nulla. In realtà i fattori da prendere in considerazione sono tre: politico, etnico e religioso. Il fatto che comunque ogni tanto questi massacri ricomincino significa che la situazione non è esattamente sotto controllo.
In che misura incidono questi singoli elementi?
Il fattore politico incide perché la situazione nigeriana è caratterizzata da una notevole instabilità, con continue lotte fra partiti e intrapartiti. Ogni tanto sembrano risolte, come anche gli Usa parrebbero confermare, poi però le cose vanno in un’altra direzione. Il fattore etnico conta perché di solito i cristiani hanno un’appartenenza tribale diversa rispetto ai musulmani. Poi va considerato che il fondamentalismo islamico non è mai stato totalmente debellato: la Nigeria ci racconta che Boko Haram e altre organizzazioni terroristiche non ci sono più. Ma è evidente che ci sono ancora.
Gli attacchi di Natale vengono inquadrati anche come lotta tra pastori e agricoltori. Altri leggono questo conflitto con una connotazione più religiosa. Chi sono le bande che hanno agito in questi giorni?
Bisogna fare un passo indietro e andare a quello che è successo all’inizio del mese: durante una festa islamica nello stato di Kaduna, a Tudun Biri, c’è stato un attacco aereo e sono stati ammazzati 120 musulmani. Difficile credere che sia stato un incidente, come dice il governo nigeriano. Si è trattato comunque di un’azione dell’aviazione nigeriana. Le persone colpite stavano celebrando un festival religioso e non risulta che fossero terroristi. Alcuni leggono l’attacco ai cristiani di Natale, tra sabato sera e lunedì, come una reazione all’attacco aereo di inizio mese. Questo ci porta in uno scenario ancora più inquietante, perché non è impossibile che nell’esercito nigeriano ci siano personaggi o correnti che per rovesciare l’attuale governo peschino nel torbido. È abbastanza chiaro che un attacco aereo nei confronti di un gruppo di musulmani avrebbe portato a una reazione opposta di estremisti che dietro a questo episodio, secondo me del tutto a torto, vedono i cristiani. Anche gli specialisti di cose nigeriane non sono sorpresi che ci sia stata una reazione, arrivata a Natale per ragioni simboliche. Questo conferma che i fondamentalisti islamici ci sono, che l’etnia Fulani, che ce l’ha con i cristiani, ha ancora delle milizie armate fino ai denti. Ma è anche vero che questo specifico attacco risponde a quello del 3 dicembre.
Gli Stati Uniti che ruolo hanno in questa situazione?
Hanno sempre supportato la repressione di Boko Haram, anche perché lo considerano legato all’Isis. Sembrerebbe di capire però che non sia verissimo che il terrorismo sia stato debellato. I fatti di questi giorni ci raccontano due cose: che i terroristi ci sono e che sono stati provocati ad arte dal cosiddetto incidente delle bombe sganciate sui musulmani. Era un po’ che non erano protagonisti di azione spettacolari. Quindi si tratta di capire chi ha organizzato la provocazione del 3 dicembre.
I cristiani che ruolo hanno nel Paese e come vivono in questo contesto?
Hanno un ruolo importante nella politica, sono abbastanza numerosi da essere decisivi per il voto. Ogni tanto si difendono anche in armi, in genere però sono meno inclini ad organizzare milizie e mettere le cose su un piano militare. Se si tratta di farsi la guerra a colpi di attentati terroristici c’è tutta una rete internazionale, dall’Isis ad Al Qaeda, che può supportare formazioni musulmane, mentre non esiste niente di simile per i cristiani.
Ma le persecuzioni contro i cristiani prima della tragedia dello stato di Plateau si erano ridotte?
Gli atti di discriminazione dei cristiani e di piccola persecuzione quotidiana non sono mai finiti, ma gli attentati spettacolari erano un po’ scemati, gli ultimi sono stati un anno fa. Poi sono arrivate notizie di scontri nei villaggi, di assassini: non è che fosse finita. Ma attacchi su questa scala non se n’erano visti. Anche se poi ci sono gruppi che ci dicono che comunque il numero di cristiani uccisi anche in imboscate tese a dieci, venti persone, è nell’ordine dei 3mila quest’anno.
Ma alla fine in questo tipo di conflitto quali aspetti prevalgono?
C’è chi dice che i conflitti esclusivamente religiosi non esistano, perché tutti poi hanno motivazioni politiche, etniche o economiche. Se prendiamo il conflitto più noto, quello fra Israele e Palestina, vediamo che non è unicamente religioso, però il fattore religioso esiste e tutta una serie di comportamenti non si spiegano senza prenderlo in considerazione. Diciamo che i fattori religiosi vanno considerati insieme ad altri.
(Paolo Rossetti)
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