Vale la pena sottolineare subito che nessuno nega quanto possa essere difficile, davvero molto difficile, la vita del transessuale. Vivere la propria sessualità in modo psicologicamente diverso da quanto mostra la nostra corporeità è indubbiamente una condizione che crea grave disagio in una persona. Si percepisce una frattura interiore, una mancanza di unità tra il proprio essere e il proprio sentire, tra corpo e mente, tra psiche e corpo, che rende scomoda la coabitazione con se stessi e in se stessi, come hanno più volte rivelato alcune persone transgender nel corso di una serie di colloqui, che precedevano l’iter legato al cambio di sesso. Chi si sente intrappolato in un corpo che non corrisponde più alla percezione che ha di sé, ai suoi desideri, al suo stesso istinto sessuale, sperimenta una sofferenza destinata a crescere con il tempo, a meno che non si decida di affrontarla in modo deciso e radicale.
Ma ciò che colpisce in questo nostro tempo è l’aumento delle persone che fanno richieste in tal senso; come se si fosse creata una tendenza assai più diffusa che in passato a vivere il proprio corpo come un estraneo con cui è difficile capirsi e intendersi. Una disarmonia profonda e contagiosa che coinvolge un numero crescente di persone. Un fenomeno sociale e culturale statisticamente rilevante che pone interrogativi urgenti, che non possono accontentarsi di risposte frettolose. Come è accaduto in Inghilterra con il caso di Keira Bell, sottoposta precocemente ad un intervento di cambiamento di sesso, di cui si è pentita e per cui ha intentato causa alla clinica Tavistock di Londra. Causa che ha regolarmente vinto, dimostrando che all’età in cui è stata sottoposta all’intervento non era in grado di dare un consenso informato e consapevole.
La normativa italiana
È interessante ripercorrere alcune fasi della legislatura italiana su questo tema, per capire come con il passare degli anni la normativa sia diventata sempre meno stringente, lasciando spazi sempre più ampi alla soggettività individuale, ma nello stesso tempo rendendo sempre più difficile verificare le due condizioni essenziali del cambiamento di sesso: la consapevolezza del processo che si sarebbe innestato e le sue conseguenze nel tempo.
1) In Italia la riassegnazione di sesso e genere è consentita dalla legge 14 aprile 1982, n. 164: “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”. Questa stessa legge non prevedeva un regolamento di applicazione, quindi – ancora oggi – la procedura giudiziaria è frutto di un’interpretazione tendenzialmente condivisa, che lascia però ampi vuoti, su cui sono intervenute leggi successive e una importante sentenza della Corte costituzionale. Quando la legge venne promulgata, circa 40 anni fa, la persona che intendeva cambiare sesso doveva chiedere un incontro personale a una struttura specialistica, che offriva servizi ad iniziare un percorso, la cui durata era del tutto soggettiva. Al termine di questo processo, doveva far domanda al Tribunale competente per ottenerne l’autorizzazione e solo dopo poteva giungere legalmente ad una nuova attribuzione del sesso e ottenere il cambio del nome. Prima di iniziare questo iter, la persona doveva essere informata di tutte le procedure e le terapie disponibili, dei possibili rischi che comportavano, dell’irreversibilità di alcune di esse, in modo da poter esprimere un consenso informato scritto sul percorso da affrontare, concordato con gli specialisti che prescrivevano il trattamento. La legge 164/82 implicava quindi due diversi procedimenti: uno, per ottenere l’autorizzazione agli interventi medico–chirurgici, e l’altro per la richiesta di rettificazione dei documenti d’identità. La decisione veniva assunta dal tribunale in composizione collegiale con l’emanazione di una sentenza.
2) La legge 164/1982 è stata successivamente modificata, in un certo senso semplificata, dall’articolo 31 del decreto legislativo 150/2011, “Delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, per cui la persona che vuole sottoporsi al trattamento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali deve presentare un’istanza al Tribunale per ottenere l’autorizzazione all’intervento, con una richiesta che sarà notificata al pubblico ministero, agli eventuali figli e al coniuge. Una volta accertato l’avvenuto trattamento medico–chirurgico per la riconversione del sesso, il tribunale dispone direttamente il cambiamento di stato anagrafico, con il necessario cambiamento dei documenti d’identità, per sesso e nome.
3) Successivamente, nel 2015, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15138, ha dichiarato la non indispensabilità del trattamento chirurgico di demolizione degli organi sessuali ai fini della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso.
4) E la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221/2015, ha ribadito la centralità del ruolo del giudice nel valutare l’opportunità dell’intervento chirurgico, che non deve essere considerato come un prerequisito della rettificazione dei documenti d’identità, ma come mezzo per la tutela del diritto alla salute del soggetto, a cui non si può richiedere di sacrificare la propria integrità psicofisica.
È interessante notare, soprattutto alla luce del dibattito attuale, che l’articolo 4 della 164/1982, nel testo originale, disponeva che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determinasse lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso. Questa impostazione muoveva dai princìpi generali sottesi al concetto di matrimonio che, ai sensi dell’articolo 143 del Codice civile, implica la diversità di genere tra i coniugi: il determinatasi di una situazione di identità sessuale all’interno della coppia coniugale per effetto della rettificazione di sesso di uno degli sposi determinava lo scioglimento automatico del vincolo di coniugio. Ma la Corte costituzionale, con sentenza n. 170/2014, ha ritenuto che il cosiddetto “divorzio imposto” ex articolo 4, legge 164/1982, fosse in contrasto con il diritto individuale ad autodeterminarsi e con il diritto dei coniugi alla conservazione della pre-esistente relazione.
In buona sostanza, anche in questo caso la magistratura si è sovrapposta al ruolo legislativo del Parlamento e ha dettato nuove regole che sono andate costantemente in due direzioni: attribuire alla soggettività del soggetto, ai suoi desideri, alle sue decisioni, valore pressoché normativo e semplificare le procedure perché siano queste ad adeguarsi alle istanze soggettive e non viceversa.
Un sedicenne di Lucca con il consenso dei genitori cambia sesso
Nel clima culturale in cui stiamo vivendo, predisposto dal susseguirsi ad arte di norme e di interventi della magistratura che vanno tutti in una stessa direzione, non stupisce che un sedicenne, con il consenso dei genitori, abbia ottenuto dal giudice la nuova identità e la rettifica anagrafica. È la seconda sentenza del genere emessa in Italia, dopo una analoga emessa dal tribunale di Genova nel 2019. Per essere riconosciuto anche agli effetti anagrafici come ragazza, questo non più ragazzo, non dovrà affrontare interventi chirurgici di nessun genere. Basta la sua volontà e la sua autodichiarazione: mi sento donna e voglio vivere da donna; lo hanno affermato alcune sentenze della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale. Si opererà se lo vorrà e se le servirà per raggiungere un suo equilibrio psicofisico. Ma ad oggi è stata sufficiente la sua volontà. E forse è davvero meglio così, perché l’intervento chirurgico avrebbe reso impossibile qualsiasi rettifica ulteriore, se avesse cambiato idea, come è tuttora possibile che avvenga e avrebbe reso irrevocabile qualsiasi decisione.
Ancora una volta, però, il vero dilemma è tutto nell’interrogativo di base, e riguarda il suo consenso, ancorché supportato dal parere dei suoi genitori. Fino a che punto un adolescente, a 16 anni in piena crisi adolescenziale anche sul piano ormonale, emotivo, affettivo, è in grado di comprendere tutte le conseguenze e la portata della decisione che assume in merito alla sua sessualità: questo è il vero punto cruciale. Il ragazzo ha seguito un preciso protocollo per dimostrare la sua disforia di genere, ma è proprio la sua disforia che avrebbe dovuto richiedere un tempo e uno spazio di maggiore riflessione prima di decidere, sollevando i genitori da una responsabilità che solo il tempo dirà se è stata assunta, anche nel loro caso, in piena consapevolezza o sulla scia di un movimento culturale sempre più insistente.
Il percorso per modificare l’identità sessuale è di tipo complesso, poiché interessa molteplici livelli, medici, psicologici, legali oltre che giudiziari. Ma a fronte dei recenti orientamenti giurisprudenziali, ognuno ora ha facoltà di scegliere la propria identità di genere sulla base della percezione della propria sessualità. Le caratteristiche anatomo-fisiologiche assegnate dalla natura non costituiscono più un ostacolo invalicabile per il cambiamento. Nella sentenza del Tribunale di Lucca di pochi giorni fa si legge: “Il nome sarà quindi cambiato da maschile a femminile su tutti i nuovi documenti con effetto immediato e per l’intervento chirurgico definitivo i giudici hanno voluto ricordare il rigido protocollo da seguire e il fatto che non ci sia nessuna fretta per il minore di effettuarlo, visto il cambio anagrafico disposto immediatamente in sentenza. Per lo meno la sua integrità fisica in questo momento è salva, nella eventualità di altre e successive decisioni, che possano intercettare una diversa valutazione delle sue stesse emozioni, delle sue sensazioni, delle sue idee e valori”.
Sedici anni sono davvero troppo pochi per giocarsi il proprio futuro in un momento di evidente e forte disagio. Le perplessità maggiori sono però tutte a proposito delle sentenze della magistratura, che in modo decisamente più accelerato rispetto allo stesso Parlamento hanno aperto la strada a processi che meriterebbero di essere trattati sulla base del principio di precauzione e alla luce di un’etica della responsabilità che impone una prudenza estrema anche nel dibattito pubblico, per evitare che vicende umane così delicate diventino pretesto per ideologie politiche discutibili e francamente non condivisibili.
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