Tra i molti anniversari che si celebrano quest’anno, ce n’è uno che forse passerà in ombra, in quanto si riferisce ad un evento che da molte parti si preferisce dimenticare.
Sono passati trent’anni da quel 13 dicembre 1981, quando il generale Wojciech Jaruzelski, primo ministro e segretario del partito comunista polacco, ordinava l’instaurazione della legge marziale in Polonia. Fu un colpo di Stato, compiuto – si disse – con l’intento di evitare un’eventuale invasione della Polonia da parte delle truppe sovietiche, eventualità non improbabile. Solidarnosc, il primo sindacato libero in un regime comunista, nato l’anno prima, venne sospeso (verrà sciolto d’autorità, e l’8 maggio 1982 messo fuori legge).
Cos’era successo? Nell’estate del 1980 il governo aveva deciso un fortissimo aumento dei prezzi, lasciando invariati salari e orari di lavoro. Dal 1° luglio iniziava così un’ondata di scioperi che si diffusero in tutta la Polonia, fino al 16 agosto, quando cominciarono a scioperare i cantieri Lenin di Danzica, per solidarietà (solidarnosc in polacco) con tre operai licenziati in quanto membri dei sindacati clandestini: uno di questi era un elettricista, Lech Wałesa, che fu il loro portavoce, destinato a diventare presidente della Polonia.
Gli scioperanti facevano proprie le richieste che già nel periodo precedente si erano diffuse nel paese: aumenti salariali, equiparazione degli assegni familiari a quelli del partito, riassunzione dei lavoratori licenziati, scioglimento dei sindacati ufficiali, aumento delle pensioni. Il numero di scioperanti si poteva calcolare in migliaia a Danzica, in milioni nell’intero paese. Fu chiaro fin da subito che la controparte non era tanto la direzione dei cantieri, quanto il governo.
In una Polonia impoverita, ridotta al silenzio da un regime oppressivo e soffocante, succube dell’Unione Sovietica, negli anni erano nati timidi e sotterranei fenomeni di dissidenza per lo più raccolti intorno alla Chiesa cattolica, unica istituzione a chiedere e permettere un minimo di libertà e baluardo da sempre dell’unità del popolo.
Quando, nel 1979, Giovanni Paolo II, il papa polacco eletto l’anno prima, era tornato per la prima volta al suo paese di origine, l’accoglienza straordinaria e incredibile ricevuta aveva fatto emergere l’esistenza di una vera e propria polis parallela che aveva ormai assunto dimensioni di popolo. Erano persone che non si riconoscevano più nel regime, che in molti casi avevano dato vita ad iniziative culturali alternative come le università volanti, a organizzazioni di sostegno reciproco, a club di intellettuali e artisti.
Qui vogliamo ricordare la storia di padre Jerzy Popiełuszko, il prete che si coinvolse con la sua gente fino al sacrificio supremo. Nato in un paesino di campagna nel 1947, entrò nel seminario di Varsavia a 18 anni. L’anno dopo fu chiamato a prestare il servizio militare e già in quella circostanza si segnalò per il coraggio nella difesa dei suoi diritti e delle sue convinzioni: si rifiutò di consegnare il rosario e la medaglietta, e per questo fu punito.
Ordinato sacerdote nel 1972, esercitò il suo ministero a Varsavia. I legami di padre Jerzy col mondo del lavoro iniziarono quasi per caso. Quando, nell’agosto 1980, gli operai delle acciaierie Huta in sciopero chiesero al cardinale Stefan Wyszynski (1901-1981) un sacerdote che celebrasse la messa per loro, il giovane prete non esitò ad accettare l’incarico. Rimase con gli operai per tutto il tempo, giorno e notte. Comprese immediatamente che il suo posto era lì, in mezzo alla gente che soffriva e lottava per conquistare i diritti elementari negati dal regime comunista. Ben presto nacque tra gli operai e padre Jerzy, che condivideva le istanze di Solidarnosc, un legame profondo: egli aiutava i lavoratori con la sua presenza, li ascoltava, calmava gli animi più esacerbati, fermava le iniziative inconsulte.
Popiełuszko divenne sempre più popolare. Nel febbraio 1982 celebrò la prima “Messa per la patria”, che divenne da allora un appuntamento fisso mensile. Vi partecipavano migliaia di persone, provenienti non solo da Varsavia ma anche da località molto lontane. Nelle sue omelie, accuratamente preparate, padre Jerzy riusciva ad esprimere in modo semplice il sentimento della nazione, divenendone rapidamente la voce e la guida. Le parole che egli pronunciava erano le parole antiche della Chiesa, non predicavano l’odio né la vendetta, ma chiedevano la pace della patria e la protezione di Dio sulla nazione.
Già nel gennaio 1985 i testi delle omelie dal settembre 1983 all’ottobre 1984 furono raccolti e pubblicati in italiano grazie all’iniziativa di Cseo, Centro Studi Europa Orientale, di Bologna, in un libretto di 110 pagine, con introduzione di Francesco Ricci. A questa edizione si riferiscono le citazioni qui di seguito.
Nel corso di una Via Crucis a Jasna Gora, nel settembre 1983, Popiełuszko così si esprimeva: “Gesù Cristo è nostro fratello nell’umana sventura. Ci dà l’esempio di come ci si debba rialzare rapidamente dopo ogni caduta. Dà l’esempio di come non si possano perdere la fiducia e la speranza” (p. 16). “Chiediamo di essere fedeli agli ideali che portiamo nei nostri cuori, fedeli agli ideali per i quali abbiamo lottato nei caldi giorni dell’agosto di tre anni fa, fedeli agli ideali per i quali i nostri fratelli hanno pagato il prezzo più alto, il prezzo della vita, oltre che tanto dolore e umiliazione…” (p. 19). “O Gesù inchiodato alla croce (…) comprendiamo nella Tua croce la croce del mondo del lavoro, comprendiamo la croce della nostra patria, dove manca la vera libertà, manca la giustizia, dove sono annientati e traditi gli ideali contenuti nei postulati di Solidarnosc” (p. 22). “Oggi rendiamo grazie alla Madre di Dio (…) di essere fin dall’inizio della storia della nostra nazione sempre sotto la croce della nostra nazione, di essere per la nostra nazione Regina, ma al tempo stesso Madre. Di essere sotto la nazione che soffre” (p. 24).
Il sacerdote dunque ricorda ai suoi ascoltatori che la cultura polacca fin dall’inizio ha portato con sé un chiaro carattere cristiano, traendo la sua ispirazione dal Vangelo. “La nazione non si è lasciata annientare nonostante le spartizioni, le insurrezioni fallite e la Siberia, nonostante la denazionalizzazione e la russificazione, l’espropriazione delle terre e il Kulturkampf, perché aveva radici saldamente piantate nei secoli precedenti della storia patria (…) perché viveva della storia e della cultura dei secoli precedenti” (p. 30). E ancora: “La vita deve essere vissuta degnamente, perché è una sola”. Citando il cardinale Wyszynski: “Oggi bisogna parlare molto dell’alta dignità dell’uomo per capire che l’uomo supera tutto quanto può esistere al mondo, tranne Dio” (p. 47). Padre Jerzy sottolinea come sia necessario, per vivere nella verità e nella vera giustizia, rifondare nel popolo le virtù della speranza e del coraggio, contro il fatalismo e la viltà che erano prosperati in quegli anni.
Parallelamente all’inizio delle Messe per la patria, Popiełuszko divenne il nemico giurato del regime che pensò di allontanarlo, insieme ad altri preti scomodi, col pretesto di un periodo di studio a Roma. Tentarono di intimidirlo inviando delle lettere alla gerarchia ecclesiastica e ricorrendo a minacce anonime. Fu imprigionato per alcuni giorni grazie alla fabbricazione di accuse e testimoni falsi: in particolare inventando il ritrovamento di materiali esplosivi nel suo appartamento. Fu poi rilasciato in seguito all’intervento della curia di Varsavia.
Una sera, di ritorno da un incontro pubblico, padre Popiełuszko e il suo autista vennero bloccati da tre uomini delle truppe speciali del ministero degli Interni che lo sequestrarono, e dopo averlo seviziato e assassinato, lo gettarono nelle acque gelide della Vistola. Era il 19 ottobre 1984. I polacchi, costernati, col fiato sospeso per la scomparsa di padre Jerzy, speravano e pregavano di rivederlo vivo, fino alla confessione di uno degli assassini e al ritrovamento del cadavere. I funerali furono seguiti da mezzo milione di persone e ancora oggi la tomba è meta di continui pellegrinaggi. È stato beatificato a Varsavia nel 2010.
(Nel 2009 viene presentato al Festival Internazionale del Film di Roma il film Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza del giovane regista polacco Rafal Wieczynski. Il film abbraccia un arco temporale di trent’anni, prende avvio dall’infanzia del piccolo Jerzy trascorsa insieme ai genitori e ai fratelli e soprattutto fa rivivere l’entusiasmo del popolo in lotta per un ideale di libertà, l’eroismo di tanta gente comune nella stagione esaltante di Solidarnosc. Il tutto in una ricostruzione assolutamente fedele, basti pensare che il cardinale Glemp è interpretato dallo stesso cardinale Glemp. Anche gli spezzoni dei telegiornali inseriti qualche volta servono a sottolineare l’intento storico/documentaristico. Al di là dei meriti artistici e del suo valore estetico, senz’altro l’opera è importante per ciò che racconta e per il servizio che rende alla memoria collettiva.)
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