La Libia torna di nuovo sull’orlo di una crisi che potrebbe avere nuove conseguenze drammatiche. Membri del Parlamento di Tobruk, guidati dal portavoce Aguilah Saleh, hanno votato Fathi Bashagha come premier alternativo per formare un nuovo governo, mentre il premier uscente Dbeibah è uscito illeso, ieri mattina, da un attentato a Tripoli. Il risultato, come ci ha detto il corrispondente di guerra de Il Giornale Gian Micalessin in questa intervista, “è una nuova lacerazione che, anche se in questo momento nessuno ha interesse a riprendere la guerra, getterà la Libia in un nuovo caos”. Nei giorni scorsi si è riunito a Roma, in modo segreto e senza nessun clamore, un inedito e ampio spettro di rappresentanti dei ministeri degli Esteri di Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia, Italia e anche del mondo arabo come Qatar ed Emirati Arabi, nonché dei due principali attori esteri che hanno messo piede sul territorio libico, Russia e Turchia.



A Roma si è svolto un incontro ad alto livello internazionale tenuto segreto, di cui si è saputo solo grazie alle parole del ministro degli Esteri del Qatar. Secondo te, di cosa si è trattato realmente? Un tentativo di riprendere in mano la situazione libica dopo il fallimento a dicembre delle elezioni presidenziali?



In realtà siamo sull’orlo di una nuova crisi. Il Parlamento di Tobruk ha votato Fathi Bashagha, ex ministro dell’Interno del governo Serraj, come nuovo premier libico designato. Un doppio governo comporta enormi problemi. È una situazione legata al fallimento delle elezioni presidenziali.

Già, le elezioni presidenziali che la Francia aveva tanto promosso. Che cosa si sa al proposito?

Dovrebbero essere rimandate di 14 mesi. Prima bisognerà votare alcuni emendamenti alla Costituzione, poi ci dovrebbe essere una referendum sulla Costituzione stessa e infine si dovrebbe procedere alle elezioni popolari.



Quindi l’incontro di Roma si sarebbe tenuto proprio in vista dell’apertura di una nuova crisi? Chi c’è dietro a questa possibile crisi?

Il grande favorito è proprio Bashagha, il quale, considerata la sua origine misuratina, rompe il fronte tripolino, nonostante il premier Dbeibah si proclami fermamente deciso a restare. Ma anche in Cirenaica sono meno uniti di quanto si creda. Haftar ha perso il sostegno emiratino e russo e ora cerca 5 miliardi di dollari per finanziare il suo esercito.

Eppure si assiste a grandi movimenti politici. Una delegazione del Parlamento turco sarà nei prossimi giorni in Libia, mentre il primo ministro Dbeibah è andato segretamente al Cairo, in Egitto. Cosa significano?

Sono movimenti che definiscono i nuovi tentativi da parte delle potenze straniere che hanno interessi in Libia a posizionarsi nel paese in vista di una possibile crisi.

Crisi che può portare al ritorno degli scontri armati?

È difficile, perché in questo momento nessuno ha interesse a riprendere la guerra, però si stanno creando lacerazioni che sono al momento difficili da capire. È chiaro che siamo davanti a una nuova breccia che porterà caos in un paese diviso in due: due possibili governi sarebbero una follia, che darebbe spazio alle potenze internazionali interessate a intromettersi negli affari libici, oltre che ai gruppuscoli armati che agiscono da sempre. Mancando una autorità centrale, acquisteranno nuova forza.

Però è un dato di fatto che nel 2021, grazie alla fine dei combattimenti, l’economia libica sia cresciuta del 30%. Come si spiega questa performance?

Grazie alla ripresa della produzione, anche se in parte, del petrolio e alla ripresa di molte attività, proprio perché sono cessati i combattimenti.

Un dato che conferma come la Libia sia un paese in grado di rialzarsi, di stare in piedi?

La Libia potrebbe rimettersi in piedi se trovasse una soluzione, un governo unitario, e se riuscisse a disarmare le milizie armate e le intromissioni esterne. Al momento un quadro del genere è ancora molto lontano e continuamente a rischio.

(Paolo Vites)

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