Il 2019 si approssima alla conclusione e si può già fare un punto sui principali eventi economico-finanziari. L’anno si chiude con prezzi delle obbligazioni statali italiane ampiamente superiori a quelli della fine del 2018. Il miglioramento è stato lento ma costante dalla fine del 2018 dopo la fase turbolenta dell’autunno scorso con il Governo italiano che trattava e si scontrava con l’Europa per ottenere il maggiore deficit possibile. A partire da quegli eventi i rendimenti dei titoli di stato italiani si sono mantenuti stabili e in calo. A luglio lo Stato italiano pagava un rendimento del 2% sui titoli a dieci anni contro il 2,8% dell’inizio dell’anno. Il rendimento è poi crollato a fine luglio con la nomina del nuovo governo “europeista”; la luna di miele con le istituzioni europee ci ha regalato i minori rendimenti di sempre poi leggermente saliti nelle ultime settimane.



Si sono invece confermati i timori di rallentamento globale e negli ultimi trimestri l’economia italiana, in linea con quella tedesca, ha decisamente rallentato. L’economia italiana è stata colpita dal rallentamento dei commerci globali e dalla crisi di fiducia delle imprese. I venti contrari sono molteplici. Le preoccupazioni sulla durata di uno dei più lunghi cicli espansivi dell’economia americana sono inevitabili. Lo scontro commerciale e geopolitico tra Cina e Stati Uniti colpisce la propensione agli investimenti. Infine la transizione energetica, la conversione dell’economia in senso “green”, apre scenari di incertezza che sul breve periodo sicuramente penalizzano la fiducia delle imprese.



Il rallentamento economico non ha per ora indotto un cambiamento delle politiche economiche dell’Unione europea, anche se diversi Paesi membri, in particolare la Francia di Macron, hanno sollevato dubbi sulla validità dei parametri di deficit/Pil dell’Unione. Le banche italiane quotate non hanno vissuto particolare criticità aiutate anche dalla risalita dei titoli di stato. I rumour di fusione che hanno coinvolto a più riprese Unicredit non si sono tradotti in alcuna svolta societaria. Anche Mediobanca e Generali finiscono l’anno nelle stesse condizioni di gennaio nonostante siano state coinvolte da nuovi rumour. I timori sullo stato di salute di Deutsche Bank sono rimasti al centro dell’attenzione per tutto il 2019 senza però tradursi in conseguenze visibili in Italia. È lecito chiedersi quanto il dibattito su Mes e dintorni sia figlio della fragilità di una parte del sistema finanziario europeo; le banche italiane sono molto più locali, negli impieghi, di quelle tedesche e non hanno patito le conseguenze di alcuni trend negativi globali come quelli sul trasporto marittimo che hanno invece pesantemente influito su alcune banche europee.



Sul finale dell’anno il sistema bancario italiano è stato invece scosso dalla crisi della Popolare di Bari. L’unica possibile soluzione è il salvataggio statale per evitare che il sistema venga messo in crisi. le trattative con l’Unione europea che ha dimostrato preoccupanti preferenze sono già al centro dell’attenzione.

È cambiato il quadro di riferimento delle banche centrali. All’inizio dell’anno ci si chiedeva come l’Italia, ma non solo, avrebbe reagito alla fine del Quantitative easing. Era forse il “tema” principale del 2019, ma da settembre si è assistito a un’azione coordinata delle banche centrali che ha rinviato a data da definirsi la normalizzazione delle politiche monetarie. Il cambio di rotta ha caratterizzato sia la Fed che la Bce con le decisioni di Draghi appena prima della scadenza del suo mandato.

Come da attese la “Brexit” ha continuato a far discutere. Per settimane anche noi italiani ci siamo occupati del Parlamento inglese seguendo le evoluzioni giornaliere, ascoltando i lavori del Parlamento nel tentativo di capire se e come la Brexit si sarebbe effettivamente realizzata. I rapporti commerciali tra Italia, via Unione europea, e Gran Bretagna sono decisivi e nel caso italiano si manifestano anche nella proprietà della Borsa italiana. Dopo 12 mesi di tensione il 2019 si è chiuso con più chiarezza dopo le elezioni inglesi.

Nonostante chilometri di articoli, commenti e dibattiti politici il 2019 finisce con Alitalia e Atlantia nella stessa situazione di gennaio. Il Governo italiano non ha ancora deciso come procedere sulla revoca o revisione della concessione autostradale di Atlantia; Alitalia è ancora in crisi e non si è trovato un assetto societario che ne possa garantire la sopravvivenza o lo sviluppo. L’Ilva invece chiude il 2019 in condizioni peggiori; l’Italia non è riuscita a garantire l’immunità penale e complice un settore dell’acciaio in difficoltà l’Ilva rischia un’incredibile chiusura con effetti pessimi sul Pil del Paese e l’economia pugliese.

È continuata l’attività su pezzi dell’industria italiana. Il 2019 è stato l’anno della di Fiat che prima ha cercato, respinta, una fusione con Renault, e poi è stata “comprata” da Psa. L’altro settore italiano coinvolto è stato quello del lusso, nelle ultime settimane si è parlato di un’offerta di Kering su Moncler; l’operazione per il momento è in sospeso ma probabilmente tornerà d’attualità. A questi si sono aggiunte molte operazioni di dimensione minore. Tra queste si segnala il passaggio di mano del gruppo Gedi con l’offerta da parte di Exor sulla società editrice de “La Repubblica”. Mediaset non è ancora riuscita a trovare un accordo con Vivendi, ma il 2019 si chiude con maggiore ottimismo.