La seconda metà di dicembre ha portato di fatto a un primo importante cambiamento nell’azione e nella narrativa proposta da diverse Banche centrali. C’è infatti chi ha aumentato i tassi di interesse, anche se in maniera irrisoria e ininfluente; e c’è chi invece ha annunciato il “tapering”, cioè la diminuzione di acquisti di diversi asset: per esempio, la Bce passerà dai 120 miliardi al mese a 105. Certo, siamo ancora lontani da un radicale cambio di rotta, ma rispetto all’immobilismo praticato finora è già un inizio di cambiamento.



Ovviamente qualcosa dovevano fare, dovevano dare un qualche segnale di presenza e di intervento, di fronte a una situazione che rischia di diventare esplosiva per la crisi economica, acuita dalla pandemia e ora aggravata dalla crisi energetica. Anche perché, continuando con l’inerzia, ci vuole poco a salire sul banco degli imputati. E non è detto che non accada comunque, perché il Next Generation Eu (noto come Recovery Fund) è un’invenzione dell’Ue che secondo la narrativa adottata doveva spingere la ripresa. Poi è successo un po’ di tutto, ma la narrativa non è cambiata. In Italia è stato adottato il Pnrr, ma già diversi analisti hanno commentato che è irrealizzabile perché presuppone una forza lavoro che non c’è, soprattutto nel settore dell’informatica, che da anni soffre una mancanza di risorse competenti. Insomma, il Pnrr rischia di essere un enorme flop e la ripresa rischia di trasformarsi da sogno a incubo.



Certo, il rialzo dei tassi può servire a contenere il rialzo dei prezzi, causato in generale dalle materie prime e soprattutto dal settore degli energetici; ma non è una mossa senza controindicazioni ed è attuabile in tempi normali, dove la crescita inflattiva è dovuta anche alla crescita economica. Ma non è questo il caso, qui la crescita dell’inflazione è partita prima della crescita economica.

Questo elemento è tanto cruciale che, pur di annoiare qualche lettore, mi tocca il dovere di ripeterlo. Nella situazione attuale, la crescita dell’inflazione è partita prima della crescita economica. La “pseudo” crescita annunciata dalla gran cassa mediatica filogovernativa non è nient’altro che la modesta ripresa dell’economia dopo alcuni momenti di blocco totale, non è vera crescita.



Quando si aumentano i tassi, il denaro costa più caro e circola meno, si comprime la crescita e siccome in tempi normali l’inflazione è sostenuta dalla crescita, tagliando la crescita si taglia anche l’inflazione. Ma abbiamo detto e ripetuto che ora non abbiamo crescita e quindi l’inflazione è dovuta a movimenti speculativi e crisi produttive (o crisi nei trasporti dei prodotti). Quindi il taglio dei tassi non porterà alcun beneficio relativamente all’inflazione, mentre comprimerà certamente la crescita, che è già in crisi di suo.

Inoltre, come facilmente comprensibile, l’aumento dei tassi mette in crisi quei sistemi finanziari che hanno fatto e fanno maggiore ricorso al credito (che è debito) e tra questi quelli che vanno prima in sofferenza sono i soggetti del settore non finanziario, cioè l’economia reale, quell’economia che normalmente usa il credito per gestire la propria attività commerciale.

Ma in Europa non stiamo tutti allo stesso livello, nei diversi settori c’è chi sta meglio e chi sta meno bene. E se da un lato le cose “sembrano” positive, non è detto che da un altro lato lo siano. Per esempio, nel settore non finanziario l’Italia è quella messa meglio come percentuale di credito rispetto al Pil, poiché secondo i dati europei siamo al 44% sul Pil, molto meglio di Paesi come Francia e Spagna, che hanno il 61% e il 67% di credito sul Pil. Per non parlare dell’Olanda, che ha crediti finanziari (sempre da parte di aziende non finanziarie) pari al Pil (100,2%).

I principali sostenitori di una maggiore rigidità rischiano di essere quelli che pagheranno il conto più salato di una maggiore rigidità. Quale altra prova lampante ci vuole per comprendere che le politiche europee sono proprio ottuse, oltre che inefficaci?

In questo quadro, nubi nere si addensano all’orizzonte. Come già detto, il rialzo dei prezzi non dipende da una crescita economica, ma dalla speculazione e da problemi logistici causati dalla pandemia (meglio, da scelte politiche scellerate che hanno bloccato l’economia e causato il crollo dei trasporti delle merci) insieme ad altre scelte scellerate riguardo la produzione energetica (scelte cosiddette “green” senza alcuna valutazione dei costi per famiglie e imprese). Insomma, una serie di scelte (volutamente?) sbagliate che ora stanno presentando il conto.

Sospetto che Draghi andrà al Quirinale: se ne va al momento giusto per evitare di essere considerato il responsabile della catastrofe in arrivo.

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