Come più volte sottolineato, la crisi della natalità è una delle più grandi sfide della politica nei prossimi tempi: non solo del Governo attualmente in carica, ma di tutta la politica, opposizioni comprese. A poca distanza dagli Stati Generali della Natalità, è stata pubblicata una lettera del Presidente della Fondazione per la natalità Gianluigi De Palo indirizzata al Premier per sottolineare, ancora una volta, la necessità di una svolta immediata: i primi dati Istat indicano circa 600 nascite in meno nel primo trimestre rispetto al 2022, dove è stato battuto per l’ennesima volta il record negativo di nuovi nati. Ci sono tutti i presupposti affinché il 2023 presenti un saldo finale ancora inferiore. Come detto agli Stati Generali, l’obiettivo individuato dai demografi è quello delle 500mila nuove nascite annuali entro il 2033, un obiettivo possibile, ma per cui sono necessari alcuni cambiamenti.



Prima ancora di addentrarsi nel merito delle misure, è necessario risolvere una volta per tutte la grave problematica dell’instabilità dei Governi, che impedisce di procedere a delle politiche strutturate e permanenti, cioè figlie di ragionamenti indirizzati al lungo periodo (basti pensare che il Governo Renzi, in carica per circa due anni e mezzo, è il quarto Governo italiano per durata). Una soluzione passa dal lavoro sulle riforme e, conseguentemente, sulla legge elettorale che, per quanto possa sembrare non prioritaria, decidendo la ripartizione dei seggi di maggioranza e opposizione rende più o meno solido il sostegno al Governo di turno. La stabilità degli Esecutivi e le politiche familiari sono due urgenze che possono viaggiare in parallelo, a patto che ogni partito si impegni a ragionare seriamente per il bene comune del Paese e non per un proprio tornaconto elettorale, esattamente il tentativo praticato dalla Fondazione per la natalità. Ha poi senso pensare che una maggiore stabilità politica si ripercuota positivamente sui mercati finanziari, riducendo i tassi di interesse dei titoli di stato.



Focalizzandosi poi sulle misure, pare non praticabile l’ipotesi di utilizzare i fondi del Pnrr per creare politiche familiari e finanziare il poco esistente, in quanto «l’assetto generale del Pnrr lo rende molto difficilmente utilizzabile per la natalità, perché non possiamo fare misure strutturali, con spese che entrano stabilmente nel bilancio» (Malan, intervista ad Avvenire). L’unico investimento diretto per le famiglie è quello sugli asili nido, ma rimane una questione di fondo: con sempre meno nuovi nati, come si farà a riempire queste nuove strutture?

Servono dunque degli investimenti esterni al Pnrr (o una ristrutturazione dello stesso, opzione che pare alquanto difficile) che abbiano come comune obiettivo l’aumento delle nascite. A tal proposito il quoziente familiare è una misura non più rimandabile: riconoscere la soggettività fiscale della famiglia può portare benefici a tutto il Paese in termini culturali, sociali ed economici. In primo luogo, può sostenere il desiderio di natalità delle famiglie, che spesso viene infranto dalla dura realtà dei fatti: fare un figlio è una delle prime cause di povertà. Al contrario con il quoziente familiare le famiglie pagherebbero meno tasse all’aumentare del numero dei figli, come avviene in Francia, e questo avrebbe più benefici. Il primo, più evidente, sarebbe quello di incentivare le nascite (certo bisognerebbe andare a modificare anche il mercato del lavoro e il welfare, ma sarebbe una naturale conseguenza), rendendole “meno rischiose”: il punto, infatti, è quello di sostenere un desiderio che già c’è, rimuovendo gli ostacoli dove possibile. Per comprendere meglio come la natalità sia un vantaggio anche in termini economici e non solo umani basti pensare che attualmente i lavoratori sono 36 milioni (20-66 anni), destinati a diminuire di 2 milioni entro 10 anni e di 8 entro 30. Questo porterà un calo del Pil nel 2070 del 30%, cioè di 560 miliardi. È altrettanto evidente che una ripresa della natalità porterebbe all’aumento del numero di famiglie numerose e quindi al rafforzamento di una rete sociale che è sempre più sfilacciata.



Il secondo maggior beneficio sarebbe un aumento dei consumi provocato da una maggiore liquidità delle famiglie e un maggior bisogno di sostentamento per l’aumentato numero di componenti familiari. Anche in questo caso non si può non tener conto di altri fattori, come l’inflazione, la fiducia degli stessi consumatori (specie in un contesto come quello attuale),e la propensione al risparmio degli stessi.

Un’opzione alternativa ipotizzata dallo stesso Presidente De Palo è quella di rinforzare l’Assegno unico copiando il modello tedesco, che «prevede una quota fissa parametrata sul numero della prole fino al compimento dei 18 anni di età. Si tratta di 219 euro per 1 bambino, 438 euro per 2 figli, 663 euro per 3, 913 euro per 4 e 1163 euro per 5» (cfr. Il Sole 24 Ore).

Quale che sia lo strumento, è importante che la politica e il Governo agiscano adesso, avendo chiaro l’obiettivo. Non possiamo più permetterci il lusso delle parole non seguite dai fatti.

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