“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così, infatti, hanno perseguitato i profeti prima di voi” (Mt 5). Gesù nel Vangelo durante il discorso della montagna profetizza le persecuzioni che i cristiani subiranno nel suo nome, per il semplice fatto di essere discepoli; a riprova che non sono parole antiche ma al contrario sempre attuali, i dati indicano che la persecuzione dei cristiani è una delle grandi piaghe del nostro tempo, con circa 400 milioni di perseguitati, cioè uno su sette (cfr. Aiuto alla chiesa che soffre).
“Ricordiamo tutti i martiri che hanno accompagnato la vita della Chiesa. Essi, come ho già detto tante volte, sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli”. (Francesco, udienza 2023). Si potrebbe però estendere l’ennesimo appello del Santo Padre contro le persecuzioni a tanti altri periodi della storia, tanto che “la Chiesa nel suo peregrinare terreno ha sofferto e continuerà a soffrire di opposizioni e persecuzioni” (San Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 1995). Le cause sono tra le più varie, ma fatto sta che la libertà religiosa in molte parti del mondo non è un diritto, in particolare nei regimi totalitari orientali e africani e in tante parti del mondo islamico.
Hanno fatto molto scalpore le persecuzioni dell’Isis, in particolare a Quaraqosh e Mosul (Iraq); l’invasione del califfato ha portato morte e distruzione, colpendo i cittadini e la loro cultura. Particolarmente significativo in quel contesto fu l’esposizione sulle porte dei cristiani del simbolo “ﻥ”, iniziale della parola “Nassarah” (Nazareno), utilizzata per segnalare la presenza di discepoli di Cristo in una specifica abitazione.
Esiste anche un altro tipo di persecuzione, in Occidente, che è più nascosta ed è quella culturale: quante volte si contrastano gli insegnamenti della Chiesa cercando di silenziarla, motivando ciò con tesi secondo le quali il cristianesimo non sarebbe rispettoso verso tutti (eppure “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”, Mt 11) e limiterebbe la libertà individuale! Come se la società attuale, edificata su radici giudaico-cristiane, seppur rinnegate, e ora prigioniera delle ideologie più disparate, fosse davvero libera senza Dio: “Quanti padroni hanno coloro che non riconoscono l’unico Signore” (Sant’Agostino). Oggi non è forse così?
Le persecuzioni si intersecano però in modo straordinario con la tematica dell’ecumenismo, profetizzato dal Concilio Vaticano II e dal gesto di san Paolo VI, cioè la rimozione (vicendevole) della scomunica ai cristiani ortodossi accogliendo il Patriarca di Costantinopoli Atenagora nel 1967, passando poi per il magistero di san Giovanni Paolo II (di cui si ricorda, tra i tanti atti, l’enciclica Ut unum sint), il Pontificato di Benedetto XVI (cfr. la lettera ai sacerdoti anglicani convertiti) per raggingere infine il papato di Francesco: uno dei punti più alti è stato sicuramente l’incontro con il Patriarca di Mosca a Cuba nel 2016, frutto di decenni di preghiere e sforzi.
Teologicamente parlando si è scritto e trattato molto, il dono della piena unità è ancora molto distante ed è da chiedere, come ha fatto Cristo nella sua unica preghiera rivolta al Padre riportata nei Vangeli (cfr. Gv 15).
Eppure c’è un legame tra persecuzioni ed ecumenismo che va oltre le differenze teologiche ed è quello che papa Francesco chiama “ecumenismo di sangue”: forse, paradossalmente, il terreno propizio per il cammino verso l’unità. È da poco avvenuta la visita in Vaticano di Tawadros II, Papa d’Alessandria e capo della Chiesa ortodossa copta, durante la quale Francesco ha annunciato l’inserimento nel Martirologio Romano dei 21 martiri uccisi in Libia il 15 febbraio 2015: come dimenticare le immagini di quei 21 cristiani di cui ignoriamo il nome, in ginocchio sulla spiaggia, vestiti d’arancione, mentre vengono uccisi, pronunciando come ultime parole il nome di Cristo? “Questi martiri sono stati battezzati non solo nell’acqua e nello Spirito, ma anche nel sangue, un sangue che è seme di unità per tutti i seguaci di Cristo […]. Possa la preghiera dei martiri copti, continuare a far crescere nell’amicizia le nostre Chiese, fino al giorno benedetto in cui potremo celebrare insieme allo stesso altare e comunicare allo stesso Corpo e Sangue del Salvatore” (Francesco).
Persecuzioni ed ecumenismo, due strade che si intrecciano, arrivando a formarne una sola. La decisione di Francesco, che in qualche modo ricalca una decisione differente ma analoga presa da Giovanni Paolo II nel 2001 con l’inserimento nel Martirologio di alcuni santi ortodossi riconosciuti tali dopo lo scisma, ci ricorda quindi la via principe nella storia della Chiesa: “Sanguis martyrum semen christianorum” (Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani, Tertulliano).
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