“Miei amatissimi genitori, sorella cara, Tonino e la mia piccola Angelica, oggi verrò fucilato, non piangete per me. Vi attendo tutti in Cielo dove saremo sempre uniti. Muoio innocente, ma perdono a coloro che mi hanno fatto prendere, perdono con tutto il cuore, perdonateli anche voi. Muoio con il vostro sguardo rivolto a me. Vi voglio tanto bene, perdonatemi se qualche volta ci ho dato dei dispiaceri, sono il vostro Nino, dal cielo vi guarderà e vi attende tutti lassù con Dio. Salutatemi tutti e arrivederci in Cielo. Vi mando gli oggetti, teneteli in mia memoria. Arrivederci tutti miei cari vostro Nino. Cuorgnè, 24 novembre 1944, ore 14,15”.
“Nino” era il nome di battaglia da partigiano di Domenico Bertinatti. Nato a Pont Canavese (oggi facente parte della città metropolitana di Torino) nel 1919, faceva il ragioniere, sottotenente di fanteria, entrò nella Resistenza nel 1944 e, come tantissimi cattolici, militava – senza per questo farsi indottrinare, mosso solo dall’amor di patria – in una brigata Garibaldi a guida comunista, la 47esima, di cui divenne anche vicecomandante. Prese parte a diversi scontri.
Il 16 novembre 1944 commise l’imprudenza di andare a trovare i genitori, ma lo attendeva la polizia tedesca, avvertita da un delatore, come spesso accadeva. Il 24 novembre, alle due e venti del pomeriggio, fu condotto al luogo dell’esecuzione vicino al collegio dei salesiani di Cuorgnè. Cinque minuti prima di essere portato via fece in tempo a terminare la breve lettera citata. Il parroco di Cuorgnè, che aveva dato assistenza spirituale a Domenico e a un altro partigiano giustiziato assieme a lui, Aldo Minnucci, così descrisse la scena un anno dopo, a liberazione avvenuta, nel bollettino parrocchiale del novembre 1945: “[…] entrambi furono fatti inginocchiare. Vidi allora quei giovani piegare le ginocchia, giungere le mani colla limpida pietà dei bambini e presero a pregare ad alta voce. Non ricordo con precisione se dicessero l’atto di dolore o invocassero la Vergine coll’Ave Maria. Io non potevo distogliere da quei due Eroi i miei occhi, tanto era commovente quella scena sì fulgida di Fede cristiana e italiana”.
Domenico, Aldo. Ma anche il carismatico Luigi Pierobon, partigiano veneto, primo di otto figli. Catturato dai fascisti il 17 agosto 1944, avviandosi alla fucilazione riconobbe tra i suoi carcerieri, nella divisa di milite repubblicano, un vecchio compagno di università. Lo abbracciò dicendogli: “Vado alla morte”. Davanti al plotone chiese di essere fucilato al petto, ma gli fu negato. Nessuno tuttavia poté impedirgli di urlare all’indirizzo dei fascisti: “Siete servi venduti. Noi moriamo per l’Italia”, e di stringere il rosario al momento della raffica levandolo in alto, in offerta al Signore. In questo, almeno, Luigi fu libero fino in fondo. Ai genitori aveva scritto: “Ho appena fatto la S.S. Comunione. Muoio tranquillo. Il Signore mi accolga fra i suoi in cielo. È l’unico augurio e più bello che mi faccio. Pregate per me”.
Come loro furono fatti prigionieri e condannati a morte dai nazifascisti centinaia di giovani di fede cattolica, comprese molte donne, che si erano uniti alla lotta partigiana provenienti dalla società civile o dalle forze armate, e che dopo l’8 settembre 1943 avevano scelto di combattere i tedeschi invasori. Soltanto alcuni sono noti al grande pubblico, come Teresio Olivelli, proclamato beato nel 2018 – che compose la Preghiera del ribelle – o il leggendario Aldo Gastaldi, il comandante “Bisagno”, il primo partigiano d’Italia, che morì in circostanze mai chiarite il 21 maggio 1945 (una vendetta dei comunisti perché considerato scomodo?) e di cui è stato avviato il processo di beatificazione.
Di tutti gli altri coraggiosi resistenti cristiani finora si sapeva ben poco a livello divulgativo. Ha colmato la lacuna Partigiani cristiani nella Resistenza. La storia ritrovata (1943-1945), un saggio scritto a quattro mani da Alberto Leoni e Stefano R. Contini (Ares, 2022), che si presenta come un accurato e completo lavoro di ricostruzione storica, teso a far conoscere episodi pressoché ignorati della lotta antifascista. In realtà l’apporto che diedero alla Resistenza, tra il 1943 e il 1945, migliaia di italiane e italiani animati dalla fede cristiana, fu determinante.
Un contributo consistente, ampiamente documentato grazie a una puntigliosa indagine che si è avvalsa di testimonianze, lettere e memorie civili. A partire da fatti, numeri, volti e il racconto di atti di eroismo e di martirio, emerge così una storia di popolo che non può più essere tralasciata e ignorata. Merito degli autori è aver correttamente inquadrato tutti i “ritratti” dei partigiani cristiani nel più ampio contesto della Resistenza, un periodo della nostra storia recente ancora avvolto nelle nebbie dell’ideologia e di una narrazione di parte, quasi che tutto si riducesse alla dicotomia fascisti/socialcomunisti, “neri”e “rossi”.
Perché dedicarsi a un’opera così corposa (oltre 500 pagine) e faticosa (una ricerca durata sei anni)? Lo spiega uno degli autori, Alberto Leoni: “L’unico scopo che ci ha mosso è stato offrire ai lettori il racconto di tante vite straordinarie”. Lo studioso riconosce che “è stato un impegno massacrante, ma vissuto con l’entusiasmo di volontari della lotta per la libertà”, per aiutare a comprendere che “non si trattava di eroi isolati, ma di persone che avevano alle spalle una storia ben precisa”: l’educazione religiosa ricevuta dai genitori, l’appartenenza all’associazionismo cattolico, il rigore e i valori della vita militare. Quindi “non titani solitari, ma un popolo di uomini e donne, liberi e forti”. Aldilà di tanta retorica sulla Resistenza, e narrazioni a senso unico viziate ideologicamente, le pagine di questo libro ci permettono di accostare limpide testimonianze di fede e verificare come sia possibile combattere per la libertà e accettare di morire con sentimenti di fratellanza e senza nutrire rancore per il nemico, conservando nel cuore un desiderio di bene per tutti.
Ecco la preghiera del partigiano composta da don Giuseppe Pollarolo per la brigata Garibaldi “Cichero”, quella del comandante “Bisagno”: “Vergine Maria, madre di Dio, rendimi un patriota intelligente e onesto nella vita, intrepido nelle battaglie, sicuro nel pericolo, calmo e generoso nella vittoria. Accetta i sacrifici e le rinunce della mia vita partigiana e concedimi di raggiungere, con purezza d’intenzioni, l’ideale che donerà alla Patria, con lo splendore delle antiche tradizioni, l’ebbrezza di nuove altissime mete”.
Non si può negare, riconosce Leoni nella presentazione al volume, che in Italia e in Europa ci fossero cristiani e cattolici schierati con l’asse nazifascista. Una dolorosa divisione, ma così conclude: “Lasciamo al lettore il compito di giudicare in quale indirizzo politico e religioso fossero presenti misericordia, giustizia, desiderio di pace, amore per i deboli e i perseguitati”.
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