Nei fatti la festa del 25 aprile costituisce da decenni una di quelle date-simbolo nelle quali, accanto all’evento ricordato, c’è anche la necessità di presentare ed esaltare una narrazione di parte. Il primo implica la seconda. Festeggiare il 25 aprile subisce così un’estensione inevitabile, quella di celebrare, accanto all’evento in quanto tale, anche la particolare leadership culturale che ne rivendica il protagonismo sostanziale.
Qualunque tentativo di recuperare l’articolazione della realtà storica cercando di riconoscere nella lotta antifascista la presenza non secondaria di altre tradizioni politiche impatta da decenni nella severa condanna della scolastica della Liberazione, pronta a ricordare come la “Resistenza” sia stata “rossa e non democristiana”. Accanto alla vittoria contro il regime fascista, questa festa celebra così anche una particolare rappresentazione della realtà: quella della presenza eroica e decisiva dei partigiani comunisti, vera e propria punta di diamante della lotta, unica voce narrante di un’epopea gloriosa da ricordare e da celebrare e dove tutte le altre formazioni non hanno avuto che ruoli da comprimario.
In una tale prospettiva, la celebrazione del 25 aprile diviene un appuntamento indelebile della sinistra politica italiana in tutte le sue diverse varianti storiche. Monopolizzata dal Partito comunista negli anni sessanta, contestata dalla sinistra extraparlamentare per la sua mancata radicalità negli anni settanta, ridisegnata dalla sinistra progressista negli anni ottanta, la festa del 25 aprile ha rappresentato, e rappresenta tutt’ora, l’evidenza storica di una primazia comunista e socialista che si risparmia volentieri il dovere di riconoscere l’apporto delle altre forze politiche.
Un tale diritto di centralità presenta una conseguenza sostanziale. Accanto alla celebrazione dell’evento, il 25 aprile sancisce anche e soprattutto il diritto della sinistra politica, in tutte le sue diverse varianti, a rivendicare ed a detenere il parere definitivo sull’antifascismo altrui e quindi il diritto di ammettere o escludere chi possa realmente partecipare ai festeggiamenti. La distribuzione delle patenti antifasciste resta un suo monopolio.
A fatica, più di una generazione di storici qualificati, seguita da personalità politiche oltremodo rappresentative, ha consapevolmente e meritoriamente incrinato un tale luogo comune, ricordando la pluralità degli apporti all’interno dell’universo partigiano. Nonostante un vero e profluvio di studi mai realmente portati in prima fila, la rapidità con la quale si recupera puntualmente la narrazione dominante e si fa del 25 aprile il momento per riassegnare o togliere le patenti antifasciste, dimostra quanto una simile auto-investitura da parte della sinistra nelle sue diverse sfumature sia tuttora operante. Il livello minimo di riconoscimento dell’antifascismo è spostato sempre più in alto, le dichiarazioni solenni non sono mai abbastanza univoche, così come le condanne del fascismo e del suo capo carismatico non sono mai abbastanza radicali, mai realmente sufficienti.
Tuttavia – ed è qui una terza conseguenza – accanto ad un tale monopolio interpretativo si accompagna un’altrettanto reale mancata conoscenza del ventennio fascista. L’ignoranza di ciò che lo ha preceduto e ne ha consentito l’insediarsi accanto a quella dei fattori che gli hanno consentito di permanere al potere per vent’anni si caratterizza come l’elemento permanente di un tale cortocircuito della memoria, dove l’evento e la rappresentazione di una sua specifica chiave di lettura vanno di pari passo. Al posto di una conoscenza critica e approfondita prevalgono le sintesi che ne fanno a meno e che soprattutto sembrano non averne bisogno. Così, da oltre mezzo secolo le celebrazioni del 25 aprile si accompagnano all’assenza di un’adeguata diffusione delle analisi storiche che sono state compiute sul fascismo e sulla resistenza.
Il problema del 25 aprile è così costituito dal suo costante volersi far accompagnare da una voce narrante che, facendo l’economia degli studi fatti dagli storici, produce simultaneamente una presentazione degli eventi dove tutti i ruoli sono stati già distribuiti e dove si precede grazie ad una costante disconnessione dalla realtà storica. È questo suo svuotamento culturale e questo suo uso strumentale a decretarne il costante declino ed a fare del 25 aprile una data sempre meno sentita e, soprattutto, sempre meno condivisa.
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