Sono già passati 30 anni da quel 13 maggio 1990: da una parte sembra sia trascorso molto meno tempo di così, dall’altra l’avvenimento (e tutto il contorno) sembra avvolto dalle nebbie come se appartenesse addirittura un’altra vita. Siamo allo Stadion Maksimir di Zagabria, che però all’epoca non era ancora Croazia: meglio, lo era sì ma geograficamente e politicamente si parlava ancora di Jugoslavia unita. Si gioca Dinamo Zagabria-Stella Rossa: è uno scontro al vertice ininfluente perché gli ospiti hanno ormai vinto il campionato, il primo di due consecutivi che saranno anche gli ultimi della Prva Liga con il Paese unito. Un torneo già vessato da un clima politico sempre più teso, idealmente iniziato dieci anni prima con la morte di Josip Broz (passato alla storia come Tito) senza il quale veniva a mancare lo “spunto” per l’unità della Jugoslavia, della cui forma di Repubblica Socialista Federale il maresciallo fu Primo Ministro e poi presidente a vita – restandolo infatti fino al decesso.
Sei giorni prima della partita, le prime elezioni libere della Croazia avevano lanciato Franjo Tudjman: fervente nazionalista, e simbolo di una sentimento di indipendenza che sarebbe culminato un anno più tardi con la dichiarazione autonoma e, di conseguenza, lo scoppio della guerra civile che purtroppo sarebbe diventata tristemente nota. Quella partita del Maksimir diventò la miccia della rivolta: non si giocò mai perché i Bad Blues Boys, ultras della Dinamo, e i Delijie della Stella Rossa diedero vita a uno scontro che dalle tribune dello stadio si spostò presto al terreno di gioco. Le immagini le abbiamo viste tutti, o quasi, nel corso degli anni: sedili di plastica divelti dai tifosi ospiti che volano in aria, lo sfondamento dei croati che invadono il campo e affrontano i poliziotti, i giocatori che intervengono. In quella Dinamo giocava anche un certo Zvonimir Boban, che a causa di una ginocchiata ad un uomo delle forze dell’ordine sarebbe stato squalificato per nove mesi, diventando immediatamente un eroe per il popolo croato.
SCONTRI DINAMO STELLA ROSSA: COSA E’ SUCCESSO DOPO
A vincere a tavolino fu la Stella Rossa, riportano le cronache, ma conta poco: quel che interessa è che quello scontro tremendo, che i media derubricarono a violenze ultras senza alcun legame, avrebbe fatto da apripista alla guerra. Uno dei capi dei Delijie era Zeljko Raznatovic, che con il nome di Comandante Arkan avrebbe comandato le Tigri al soldo di Slobodan Milosevic, trovando la morte nel 2000 in un attentato. Due anni prima il FK Obilic Belgrado, squadra di cui era presidente, si era qualificata in Champions League vincendo il campionato. Cinque mesi dopo quegli scontri, la Dinamo Zagabria tornò a Belgrado per sfidare il Partizan: era la prima giornata della Prva Liga, la bandiera jugoslava sarebbe stata ammainata all’invasione dei tifosi croati che chiedevano ufficialmente la loro indipendenza. Ancora più tardi la Stella Rossa avrebbe vinto un terzo titolo consecutivo, passato agli archivi come l’ultimo campionato jugoslavo: peccato che le squadre di Croazia e Slovenia non ci fossero già più, le loro nazioni essendosi dichiarate indipendenti.
La storia ci dice anche che 28 giorni più tardi la nazionale jugoslava, ancora con croati e sloveni, esordì a San Siro nel Mondiale italiano: prese quattro gol da una Germania Ovest che giocava con il muro di Berlino già crollato, una partita che rivissuta oggi è come un manuale di storia sul campo. Quegli slavi si sarebbero arresi ai quarti di finale, battuti ai rigori dall’Argentina e da un destino chiamato Sergio Goycoechea: avrebbero meritato miglior sorte, erano una nazionale fortissima ma purtroppo, idealmente da quel momento, le sue versioni future sono esistite solo nei classici giochini da appassionati. “Come sarebbe la Jugoslavia se la guerra civile non ci sarebbe mai stata”? Già: che peccato, e non solo per questo. Senza il Maksimir la rivolta ci sarebbe stata comunque, ma quella resta una delle grandi micce e ci dice bene dei rapporti tra la politica e lo sport.