Sono trascorsi esattamente trent’anni dall’anatema di Papa Wojtyla contro la mafia, un intervento diretto e senza mezzi termini nei confronti della criminalità organizzata. Il punto di non ritorno della Chiesa contro le mafie in quel di Agrigento, un’invettiva che tracciò un solco: “Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!”.
Alzando sempre più la voce, Wojtyla si scagliò duramente contro la criminalità organizzata, biasimando malviventi e criminali: “Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”. Un j’accuse anticipato nell’omelia, con “una chiara riprovazione della cultura della mafia, che è una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica”.
L’anatema di Papa Wojtyla contro la mafia
Papa Giovanni Paolo II incontrò ad Agrigento i genitori di Rosario Livatino, il giudice ucciso tre anni prima e che sarà beatificato nel 2021. “Uno dei martiri della giustizia e indirettamente della fede”, le parole del pontefice subito dopo l’incontro. Presente all’incontro anche l’arcivescovo emerito agrigentino, monsignor Carmelo Ferraro: “Lì nacque “il grido del cuore” che tutto il mondo ricorda, la parola di un profeta che invita gli uomini a camminare sulla via della concordia e della vita. Un grido profetico, un capolavoro di evangelizzazione”, riporta Avvenire. “Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio”, il dito puntato del Santo Padre che non piacque ai mafiosi. Emblematico quanto accaduto il 28 luglio del 1993, con le bombe a Roma a San Giovanni in Laterano, la chiesa del Vescovo di Roma, e a San Giorgio al Velabro. Attentati firmati da Matteo Messina Denaro.