I recenti dati ISTAT sembrano offrirci un’ottima notizia: in Italia aumentano centenari e super-centenari, ma nello stesso tempo sottolineano la grande responsabilità che ricade su di noi: come prenderci cura di loro. Attualmente, centenari e super-centenari sono oltre 22mila e negli ultimi dieci anni sono aumentati del 30%, passando dai 17.252 del 1 gennaio 2014 agli attuali 22.552. Di questi l’81% è di sesso femminile, a conferma delle specifiche differenze di genere che ci sono tra donne e uomini, soprattutto nel campo della salute e della sua evoluzione negli anni. La medicina di genere, intesa come medicina della differenza, non ha nulla a che vedere con la discriminazione, ma si riferisce piuttosto alle rispettive specificità.
Oggi, almeno in Italia, tutti hanno l’opportunità di vivere più a lungo, soprattutto le donne, e coltivano la speranza di vivere meglio. Perché il punto chiave della questione sta tutto qui: non basta vivere più a lungo e aggiungere anni alla vita, ma occorre anche aggiungere vita agli anni, per ottenere una migliore qualità di vita. E questo non è certamente scontato, perché è proprio tra i più anziani che la fragilità si annida, con le sue patologie croniche e non di rado con vecchie e nuove forme di disabilità. Quest’anno, l’Istat ha calcolato anche i cosiddetti semi-supercentenari, ossia coloro che hanno 105 anni di età: al primo gennaio 2024 erano oltre 22mila, distribuiti sul territorio in maniera disomogenea. I super-centenari, ossia coloro che hanno raggiunto e superato i 110 anni, sono 21 e presentano sempre una prevalenza femminile. Evidentemente nel nostro Paese, nonostante tutto il SSN funziona piuttosto bene.
Il vero quesito per la sanità e per chi si occupa di politiche sociali è però come prendersi cura dei grandi anziani e dei super-centenari, collaborando con le loro famiglie, per garantire fino alla fine della vita quel diritto alle cure, gratuite ed universali, che è il cuore dell’articolo 32 della nostra Costituzione. Nel 2023 è stata approvata la legge 33: “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”, che mirava a semplificare le attuali politiche per gli anziani e a promuovere il coordinamento dell’assistenza agli anziani, cercando di ridurre la grande frammentazione del settore.
Un anno dopo, nel 2024, è stato approvato il decreto attuativo, che si propone di migliorare la qualità della vita degli anziani attraverso misure innovative e integrate, per esempio attraverso il contrasto all’isolamento e un adeguato supporto sociale. Si voleva riconoscere in questo modo l’importanza della sfera sociale, puntando a contrastare l’isolamento e la deprivazione relazionale e affettiva degli anziani. Ma davanti a condizioni drammatiche come la crisi della famiglia, diventata quasi strutturale, e la stessa povertà demografica, è diventato sempre più difficile attuare un provvedimento, giusto nei princìpi, ma reso difficilissimo dalla mancanza di condizioni adiuvanti. Gli anziani vivono più a lungo grazie ai progressi tecnico-scientifici della sanità che offre loro interventi preventivi efficaci e trattamenti che rivelano una presa in carico dei pazienti sempre più mirata e concreta. La famosa medicina di precisione, ad alto livello di personalizzazione.
Ma sul piano sociale gli anziani, e tanto più i super-anziani, sono sempre più soli e sempre più bisognosi di una assistenza che per la gran parte, oggi, importiamo direttamente dall’estero, come conferma il recentissimo Decreto flussi del 10 ottobre 2024, che al di fuori delle quote previste si propone di far entrare in Italia oltre 10mila persone con l’obiettivo specifico di prendersi cura dei gravi non autosufficienti.
Una conferma esplicita del fatto che in Italia la famiglia da sola non è in grado di ottemperare a questo obiettivo. Anche la promozione di strumenti di telemedicina presso il domicilio degli anziani, per monitorare e gestire la loro salute in modo tempestivo, corre il rischio di naufragare davanti ad un conclamato analfabetismo digitale, che non consente loro, e spesso neppure ai loro badanti o per meglio dire ai loro assistenti familiari, in gran parte immigrati, di utilizzare pienamente la potenza di questi strumenti. Anche la prevista adozione di nuove forme di domiciliarità e coabitazione solidale domiciliare, ottenute creando comunità intergenerazionali, corre il rischio di rimanere tra le utopie inattuate, come confermano i recenti tentativi fatti per moltiplicare gli alloggi degli studenti universitari, favorendo la coabitazione con anziani, per di più gravemente non autosufficienti.
Forse una delle innovazioni più significative per venire incontro alle esigenze di questi super-anziani, destinati ad aumentare ad un ritmo notevole, come conferma il trend attuale, è l’introduzione della Prestazione universale (PU) sperimentale, in vigore dal 1° gennaio 2025. Questa prestazione, erogata dall’INPS, e destinata a persone anziane non autosufficienti, dovrebbe potenziare le prestazioni assistenziali proprio per le persone non autosufficienti. I requisiti per ottenerla includono un’età di almeno 80 anni, obiettivo attualmente facile da raggiungere, ma con un livello di bisogno assistenziale gravissimo e un ISEE non superiore a 6mila euro. Il che definisce un’area di aventi diritto non solo in condizioni di grave non-autosufficienza, ma anche molto molto povera!
Con la PU gli anziani con le condizioni appena descritte, oltre all’attuale indennità di accompagnamento (527,16 euro mensili), riceverebbero una quota integrativa di 850 euro mensili, finalizzata a remunerare il lavoro di cura e assistenza. Questo è l’obiettivo, probabilmente tra qualche mese vedremo frutti e conseguenze applicative di questa misura. Allungare la vita degli anziani significa essere disponibili a prendersene cura in modo adeguato. La soddisfazione, quindi, per una longevità decisamente in aumento ci pone davanti ad interrogativi di enorme rilevanza socioeconomica, in gran parte inediti. Prevedere i bisogni emergenti nel quadro di una solitudine sempre più diffusa non è né facile né scontato. Provare a rifletterci seriamente può aprire molte strade sul piano della assistenza familiare e sociosanitaria finora sottovalutate o rimaste in ombra.
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