Nella notte del 26 aprile 1986 vi fu l’esplosione del reattore di Chernobyl. Il più grave disastro avvenuto in una centrale di produzione di energia nucleare. Questo evento cambiò in maniera indelebile la percezione dei rischi potenziali delle centrali nucleari per la produzione di energia.

In questi giorni abbiamo sentito riparlare della centrale di Chernobyl perché è stata una delle prime conquiste dell’avanzata delle truppe russe durante questa terribile guerra contro l’Ucraina. Purtroppo da alcune notizie giornalistiche sembra che i militari russi non abbiano avuto contezza del luogo che avevano conquistato e sono stati vittime della contaminazione che è presente in quei luoghi, prima di abbandonarli e lasciarli di nuovo alle persone che da anni monitorano la zona per tenere sotto controllo i rischi che ancora vi sono.



A oggi, in presenza di un acceso dibattito sul futuro ruolo dell’energia nucleare, non si può tralasciare questo avvenimento, che ancora dopo 36 anni richiede la massima attenzione, perché le conseguenze sono da definire complessivamente.

Le ragioni dell’incidente del 1986 sono in gran parte da addebitare a errori umani, in un contesto, quello dell’ex Urss, dove la catena di comando e le professionalità necessarie erano in balia di un sistema burocratico molto degradato e che mirava a coprire qualsiasi responsabilità dell’apparato dell’allora Pcus.



Il tema delle fonti di energia da utilizzare per mantenere un adeguato benessere e livello di sviluppo ci impone di continuare sulla strada della ricerca per un utilizzo pacifico e sicuro dell’energia nucleare da fusione e non dalla tecnologia della fissione (Chernobyl), che è meno sicura e produce scorie.

L’energia nucleare da fusione, se finalmente si potrà utilizzare, promette di essere molto sicura e di non emettere scorie e gas climalteranti, tuttavia il tempo per il suo utilizzo non sembra proprio breve, visto che nonostante le previsioni di molti scienziati ancora non vi sono centrali funzionanti e/o prototipi già nella fase di commercializzazione e costruzione. Quindi, se saremo fortunati, se ne parlerà almeno fra 20 anni.



Se quello sarà, come affermano molti esperti, il futuro definitivo, a oggi ci dobbiamo confrontare con una situazione, aggravata dalla guerra in Ucraina, che continuiamo a definire semplicisticamente di emergenza, che però così non è, perché è frutto di scelte sbagliate e/o di non scelte degli anni precedenti. 

Vi è necessità di un ripensamento globale della nostra politica energetica evitando un approccio ideologico che esclude a priori questa o quella tecnologia. Bisogna cercare di utilizzare nel migliore dei modi tutte le fonti, le opportunità e le tecnologie disponibili per definire una politica energetica che metta in sicurezza il nostro Paese, a cominciare dall’apparato produttivo.

Purtroppo, nonostante la spinta data dagli investimenti previsti dal Pnrr, ci troviamo di fronte numerosi rallentamenti che non consentono di prevedere una rapida via d’uscita.

Vi sono molti impianti per la produzione di energia eolica, anche off shore (in mare aperto), che sono in attesa di autorizzazione, lo stesso dicasi anche per impianti di energia solare. Tra un comitato del no, un effetto Nimby (Not In My Back Yard, ossia non nel mio giardino), il nuovo effetto Nimto, (Not in my terms of office, cioè non durante il mio mandato elettorale), ritardi burocratici, pareri delle Sovrintendenze, ecc., corriamo il rischio di rimanere legati per molto tempo alle fonti fossili, da cui occorre uscire il prima possibile investendo nelle rinnovabili.

Se un periodo di transizione tra le fonti fossili e le fonti rinnovabili è oggettivamente ineludibile, in particolare con il supporto del gas naturale, che è tra le meno inquinanti delle fonti fossili, prolungare questa transizione a causa di un’opposizione, spesso ideologica, allo sviluppo delle rinnovabili ci sembra miope. La contraddizione evidente è che proprio chi parla di risolvere ogni cosa con le FER è poi spesso anche colui che si oppone alla costruzione di nuovi impianti e all’ammodernamento di quelli esistenti.

Occorre ormai prendere atto che necessitano nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile, per favorire sia la transizione ecologica che quella energetica e per essere meno dipendenti dall’estero. Se è più che condivisibile il lavoro del Governo nel cercare nuovi fornitori di gas per sostituire quello russo riteniamo sia oltremodo urgente utilizzare pienamente le risorse del Pnrr e quelle dei privati nella costruzione di nuovi impianti FER, investendo anche nella rete di distribuzione, che deve diventare una smart grid efficiente, altrimenti si rischia di sprecare l’energia prodotta.

Viviamo in un momento storico dove non si deve ragionare in maniera alternativa tra le diverse fonti energetiche, bensì dovremmo essere guidati dal principio di neutralità tecnologica insieme alla reale disponibilità di risorse che si possono avere. Questo non vuol dire che ci può andar bene tutto e il suo contrario, ma che è il momento di un sano pragmatismo, avendo come linea guida la salvaguardia del nostro sistema produttivo e il benessere della popolazione.

Ai cittadini e ai lavoratori italiani occorre parlar chiaro e mettere nel conto la necessità di dover fare qualche sacrificio, tanto più se questa terribile guerra si prolungherà ancora. Se riusciremo a migliorare nel risparmio energetico, utilizzando meno e meglio gli impianti di riscaldamento/condizionamento, anche questo rappresenterà una risposta efficace ai cambiamenti climatici.

Parallelamente allo sviluppo delle FER va accelerato il processo di transizione dall’attuale sistema di economia lineare all’economia circolare; quest’ultima avrebbe anche un notevole impatto verso la transizione energetica, laddove con la costruzione di termovalorizzatori di nuova generazione, per i rifiuti non riciclabili, si andrebbe a produrre energia elettrica e a fornire teleriscaldamento e vapore per i cittadini e le imprese, evitando lo scandalo del cosiddetto “turismo dei rifiuti” che vede l’Italia primeggiare nel mandarli all’estero abbattendo per gli altri i costi per la produzione di energia e aumentandoli nel nostro Paese.

Infine, come Cisl, riteniamo fondamentale che a tutti questi processi di innovazione tecnologica si accompagnino percorsi di tutela verso le lavoratrici e i lavoratori dei vari settori coinvolti. In questi ultimi anni il processo di privatizzazione e concorrenza che ha investito il settore della produzione e distribuzione di energia non ha visto una reale diminuzione delle tariffe. Il settore è molto cambiato e le imprese sono diventate sempre più piccole, con un aumento della dispersione dei lavoratori e delle competenze e un aumento dei subappalti, che rischiano di nuocere al settore che invece ha bisogno di player in grado di gestirne la complessità, dalla fornitura di materie prime, alla produzione di energia, alla sua distribuzione, alla costruzione, gestione e manutenzione degli impianti.

Nel doloroso anniversario di Chernobyl dobbiamo essere in grado di immaginare un futuro sostenibile, a cominciare proprio dall’energia senza la quale non vi è futuro.

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