Caro direttore,
guardando i dati delle elezioni politiche del 25 settembre una cosa salta all’occhio più di ogni altra (oltre al risultato dirompente di Fratelli d’Italia): l’affluenza al 64%. Il 36% degli aventi diritto di voto ha preferito non esprimerlo. Il terreno umano degli astenuti è vario, ma una cosa è certa: la questione più stringente non è il disinteresse del singolo verso l’impegno pubblico, ma verso la società intera.
Sono un uomo del sociale, lavoro a stretto contatto con gli ultimi e i penultimi della nostra società, nella strada e nelle carceri e mi viene da fare un paragone. Al 31 dicembre 2021, solo il 38% dei detenuti era alla prima carcerazione. Il restante 62% in carcere c’era già stato almeno un’altra volta. Il 18% c’era già stato in precedenza 5 o più volte. La percentuale di recidiva si abbassa notevolmente (10%) per quanti vengono accompagnati nel percorso detentivo da attività riabilitative/rieducative, come può il lavoro all’interno (art. 20) o all’esterno dell’istituto penitenziario (art. 21). Questi numeri suggeriscono una riflessione: nella nostra società non vengono considerate prioritarie l’educazione all’istruzione, al lavoro, al rispetto di ciò che ci circonda. Tutto è slogan, prodotto, e come tale tende a essere usato e consumato fino a quando l’egoismo e le voglie degli utilizzatori finiscono. È il cittadino che si deve informare, su questo non ci sono dubbi. Ma è la politica che deve abbracciare il cittadino, facendolo sentire parte di una comunità.
Nel paese di mio nonno, nelle montagne piemontesi, un tempo il cimitero era a 250 metri di altezza sopra il centro abitato e per raggiungerlo si doveva percorrere un’impervia mulattiera immersa nel bosco. In inverno il terreno era impraticabile e quando moriva una persona tutti gli uomini in grado di lavorare si fermavano, prendevano le pale e andavano a spalare la neve, per permettere al feretro di raggiungere il luogo del riposo perenne. Ecco, questo senso di comunità sul quale è sorto il tessuto sociale dell’Italia sta venendo a mancare. Le opere del sociale, che tutti i giorni affrontano le difficoltà del vivere, vogliono essere una parte di risposta al bisogno di comunità e di affetto che tutte le persone hanno insito. La politica di oggi ha bisogno di persone che in strada vivono, come faro e autorità in alcuni dialoghi che restano altrimenti fantascienza e giochi di palazzo. Me ne accorgo nei dialoghi che affronto giornalmente: le persone si interessano se vedono un interesse, un tentativo di impegno a dare ipotesi di risposta ai loro bisogni.
Sarebbe ora che la politica riconoscesse di non poter essere la risposta, ma entrasse in un ordine delle cose che la vede alleata delle persone e delle opere. E sarebbe bello per noi, operatori del sociale, coinvolgerci a tal punto che il nostro muoversi non fosse utilizzato solamente nel periodo di campagna elettorale, ma sia una continua ricerca e un continuo paragone con la realtà e gli organismi che la compongono.
Davide Damiano, presidente di Pandora Cooperativa Sociale
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