Il 23 agosto 1980 iniziava la prima edizione del “Meeting per l’Amicizia tra i popoli”. Proseguiamo la raccolta di testimonianze iniziata ieri di coloro che hanno preso parte a quell’evento. Anche oggi due visitatori giunti da molto lontano: uno da Catania e uno dalla Brianza.

 

Silvio Galeano (Catania)



Come apprendesti dell’iniziativa del Meeting?

In quel periodo mi occupavo, nel gruppo di Catania, della diffusione dei libri della Jaca Book. Sante Bagnoli, Roby Ronza (e per la parte amministrativa Guido Orsi) oltre alle gradevoli e profonde vignette di Clericetti appartenevano ai miei riferimenti culturali. Alla prima notizia del Meeting, che si sarebbe tenuto a Rimini alla fine di agosto, decisi che io ci dovevo essere e lo proposi a mia moglie.



Andasti solo o con qualcuno?

Ci andai con mia moglie Miriam. Era il primo viaggio dopo quello di nozze (1979) e fummo contenti di dedicare le nostre vacanze a quell’avvenimento, che era una promessa di apertura agli altri e al mondo intero.

E del lungo viaggio dalla Sicilia a Rimini, cosa ricordi?

Ricordo la Fiat 127 bianca (motore 1050, detto brasiliano) senza aria condizionata con la quale ci avventurammo per 1184 chilometri necessari. E poi la galleria del Gran Sasso che non finiva mai e il camion che mi stava davanti da cui cadde in una curva un telone agglomerato che non so come riuscii ad evitare…



E della permanenza a Rimini?

Il primo e unico bagno nelle acque del mare riminese. Mia moglie ricorda, invece, i sandali di legno dorati che acquistò in Fiera e due piccoli centrini a forma di farfalla fatti a tombolo. Il Meeting si svolgeva nei locali della vecchia Fiera di Rimini, in un unico ambiente, dove si tenevano gli incontri e le testimonianze, agli angoli erano ricavati degli spazi per le poche mostre. Si faceva una lunga fila per prendere la piadina con la salsiccia.

In particolare cosa ricordi degli incontri e delle testimonianze?

Ricordo che ci furono le testimonianze di due dissidenti russi (sono andato a controllare e ho visto che si trattava di Vladimir Bukovscky e Tatiana Goritcheva). Seguivo allora il samizdat russo e ne ero affascinato, amavo le poesie di Boris Pasternack. Avevo letto già i “Pensieri improvvisi” di A. Sinjavsckij (Abram Terz). Ricordo, inoltre, la mostra di William Congdon, che era lì fisicamente presente. La sua pittura, superficialmente mi sembrò “astratta”, ma era diversa dall’astrattismo che conoscevo e mi impressionò tanto che ancora oggi ricordo quel crocefisso che si intravedeva nella materia dell’impasto del colore grigio tagliato da segni neri. Seppi che era amico di Claudio Chieffo e di don Giussani.

Alla fine che percezione avesti dell’avvenimento?

Che era accaduto qualcosa di importante, che si era trovata la strada giusta, non eravamo più quelli di CL chiusi in noi stessi. Era la prima vera applicazione del “Senso religioso” di don Giussani, capace di riconoscere in ogni uomo la medesima radice comune ed entusiasticamente di valorizzarla, sentirla come propria. Era un confronto aperto su tutti i temi possibili: culturali, religiosi, politici, artistici, musicali, letterari e anche sportivi.

Sono trascorsi 40 anni. Pensavi in quei momenti che si potesse giungere a questo traguardo?

Probabilmente no. Ma c’era un desiderio genuino già allora di essere presenti culturalmente nella società italiana senza rinnegare la propria radice cristiana e la piena consapevolezza di avere delle cose valide da dire a tutti. Buone. Forse anche quest’anno continueranno i giornali a scrivere dei “giovani” di CL, ma io ho 68 anni e attorno a me vedo molti miei coetanei; capisco, però, che la cura dei giovani che ci caratterizza, le nostre famiglie con nidiate di bambini, i nostri volontari per lo più universitari inducano facilmente questo errore di valutazione statistica.

A tuo avviso che contributo ha dato il Meeting alla cultura italiana in questi 40 anni?

Credo che ormai sia una realtà incontestabile, un luogo aperto al confronto senza pregiudizi che pone al centro l’uomo e trova un punto di contatto con chiunque abbia la stessa apertura a qualunque cultura appartenga. Ma la cosa che colpisce di più è che una umanità nuova è possibile, la si può vedere, la si può toccare. Nessuno è escluso. È possibile nella normalità della vita.

 

Angelo Raimondi (Como)

Quanti anni avevi nel 1980?

Avevo 18 anni. Facevo il liceo scientifico. Mi ero beccato due materie da riparare settembre. Ero un pessimo studente.

Come apprendesti della iniziativa del Meeting?

Al mio liceo guidavo la piccola comunità di Gioventù Studentesca. La notizia era arrivata attraverso degli altri ragazzi e un sacerdote assai amato con cui condividevamo un incontro settimanale e la Santa Messa al Pime.

Andasti solo o con qualcuno?

Se ben ricordo andammo in tre o quattro.

Cosa ricordi del viaggio?

Era per noi il primo viaggio lontano da casa, per me poi che avevo perso da poco il mio papà, fu una scelta molto forte.

E della permanenza a Rimini?

Di Rimini onestamente ricordo il caldo, la fatica. Ci fu chiesto, attraverso un ragazzo che si era appena maturato, di vendere “Il Sabato”.

In particolare cosa ricordi degli incontri e delle testimonianze?

Ricordo qualcosa su una mostra fotografica di Roby Ronza sulla Thailandia e sugli esuli khmer; era il tempo del film Platoon più o meno.

Alla fine che percezione avesti dell’avvenimento?

La percezione della prima volta di un avvenimento che avrebbe, ma lo capì dopo, investito gran parte della mia vita. 

Pensavi che si potesse giungere a questo traguardo dei 40 anni?

Adesso avendolo rincontrato dopo 30 anni, non posso non pensare che il Meeting non ci sia per un caso e che la sua lunga durata non sia scontata. Non dimentichiamo poi che il Meeting è un’occasione per vedere ed incontrare persone, che dura per tutto l’anno, perché si tratta di un continuum.

A tuo avviso che contributo ha dato il Meeting alla cultura italiana in questi 40 anni?

Non lo so ma, dopo 40 anni sono cambiate tante cose, fatta eccezione per l’idea insita nel Meeting. La gente passa, l’idea forte resta.

A tuo giudizio l’entusiasmo e lo spirito “pioneristico” degli inizi si conserva ancora oggi?

Si, assolutamente si!

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