Il 23 agosto 1980 iniziava la prima edizione del “Meeting per l’Amicizia tra i popoli”. Proseguiamo la raccolta di testimonianze di coloro che hanno preso parte a quell’evento. La parola passa a due riminesi. Due persone che al Meeting hanno lavorato e lavorano e che quindi lo hanno vissuto in modo più diretto.



Perché partecipò alla prima edizione del Meeting?

Quell’agosto del 1980 ero tra i riminesi che il Meeting lo “costruivano” ormai da molti mesi. Si partecipava perché si costruiva assieme. Da quell’anno in poi, per vari anni, partecipare voleva dire soprattutto costruire e crescere nell’esperienza del lavoro che ciascuno stava facendo: chi nell’organizzazione e nelle relazioni, chi negli allestimenti, chi negli uffici, chi nel salone e nelle sale, chi in cucina, chi nel servizio alle mostre e agli spettacoli, chi nelle pulizie. Il mio pezzo era l’allestimento e i ricordi sono legati a questo lavoro che consisteva nel dare forma a spazi che fossero accoglienti e comunicativi di quello che stavamo facendo… che era qualcosa di molto più grande di una festa popolare. Era un “meeting”, era una forma di incontro nuovo che avveniva – nel momento più improbabile dell’anno – al chiuso dei padiglioni della Fiera di Rimini. Era soprattutto qualcosa di non visto prima, dove si stava facendo l’esperienza di un’apertura al mondo in una forma così inconsueta. Stavamo portando pezzi di mondo entro una cornice che li unificava, entro un gesto, il Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, in un luogo d’Italia, Rimini, che soprattutto in quegli anni amava definirsi e forse lo era, “la capitale europea del turismo”. I padiglioni della fiera di Rimini in agosto erano chiusi per le sacrosante ferie dei dipendenti; in quell’anno vennero aperti e affidati a noi, perché li allestissimo con le nostre risorse, sia pur assistiti dal custode.



Che percezione ebbe di quell’evento che era appena all’inizio?

L’idea che fosse un evento, per quel che ricordo, c’era già da prima che il Meeting accadesse; era una proposta che nasceva nell’ambito della presenza di Comunione e Liberazione nella città di Rimini. Alcuni tra gli appartenenti di CL avvertivano la responsabilità di cercare una sua strada originale per rinnovare l’offerta turistica della città, perché fosse possibile incontrare nella vacanza qualcosa di diverso e di più vero.  È significativo che la richiesta di patrocinio al Presidente della Repubblica fu fatta già per la prima edizione.



Che ricordo particolare ha di quei giorni: incontri con persone, fatti significativi, ecc.?

Ho il ricordo soprattutto della decisione di vivere quel gesto come “padroni di casa”, attenti a tutti i particolari, attenti al comportamento anche dei partecipanti, perché stavamo imparando a fare i conti con un “pubblico” che si muoveva nei saloni, nelle mostre, negli spettacoli e non voleva perdersi niente del bello che stava accadendo. Una delle esperienze nuove per me è stata quella delle “visite guidate” nelle mostre. Significativo fu il fatto che il Meeting non raggiunse i turisti… colse invece l’interesse di altri in Italia e tra questi i giornalisti. Il Meeting faceva vedere in concreto, quasi si fosse in una cittadella o in una grande piazza in festa, che si poteva immaginare e soprattutto vivere l’”amicizia tra i popoli”, in anni in cui tra gli interessi diffusi – se ben ricordo – c’era quello di definire l’identità dell’uomo europeo e soprattutto di tenere aperto un ponte con l’Est e con il dissenso nei paesi a regime comunista.

Era possibile in quella circostanza prevedere lo sviluppo dei 40 anni successivi?

Era possibile. Dopo il primo Meeting, per anni, gli amici riminesi ci chiedevano come avremmo potuto fare di più e meglio di quello che era già stato fatto. È stato possibile fare di più e meglio perché chi organizzava e organizza il Meeting sta dentro i fatti e le circostanze della realtà. Lo sviluppo dei 40 anni successivi, oltre ad essere riconosciuto come grazia, per come lo capisco è accaduto perché chi organizza il Meeting, anno dopo anno, si è sempre concepito nell’attualità e lui stesso come un fatto dell’attualità. Il Meeting è una realtà propositiva che parte sempre più decisamente da una origine chiara, aperta e per questo accogliente. È difficile pensare che un modo così diverso e umano di parlarsi tra uomini non abbia un futuro.

Quale particolare contributo ha dato a suo giudizio il Meeting al dibattito culturale in questi 40 anni?

Sarebbe bello indagare quante volte il “dibattito culturale” è stato anticipato dal Meeting o si è imposto nella settimana del Meeting….  Nel 1981 il PCI riminese pensò bene di fare il “Meeting per la pace” avendo come simbolo una colomba della pace ripresa da un disegno di Picasso.     

A suo giudizio l’entusiasmo e lo spirito “pionieristico” degli inizi si conserva ancora oggi?

Sullo spirito pionieristico rispondo in questo modo. Ogni anno il Meeting richiede e fa nascere “pionieri”, si insinua nelle domande di futuro che ciascuno ha. C’è una foto del 1980 dove un gruppo di persone sta collocando un pannello sulla spiaggia. Il pannello lo ha fatto mio padre, la grafica è fatta dal “gruppo grafici” che io avevo organizzato da qualche anno per rendere più belli i gesti e le feste del movimento di CL di Rimini. Nel 1980 avevo 30 anni ed ero il “progettista” dell’allestimento (quello che poi “buttava l’occhio” affinché tutte le cose andassero a buon fine con le risorse umane e materiali che c’erano). Nella foto ci sono dei ragazzi, i volontari che montano il pannello sulla base che era un prestito di un’azienda turistica locale. Il trasporto del tutto era stato fatto con camion di una ditta di costruzioni edili. L’anno dopo già nasceva una azienda di grafica, l’impresario pensava di dare vita a un’azienda di allestimenti e il “pionierismo” di tanti si orientava verso la nascita di attività nuove. L’esempio lo si potrebbe fare per ogni settore del Meeting. Ogni titolo, ogni anno, tiene aperto il pionierismo di chi lo fa e di chi vi partecipa.

Maurizio Bellucci

Quarant’anni fa nessuno poteva sapere cosa sarebbe diventato il Meeting. È cominciato come una piccola cosa, in poco spazio e con pochissimi mezzi. Ma già dalla prima edizione erano evidenti le caratteristiche che lo hanno reso un avvenimento grande: il respiro universale e l’amicizia come fondamento dell’esperienza. Io non ero stato invitato a collaborare, ho partecipato come “visitatore”, ma sono stato talmente colpito da quel che dicevo sopra che ho subito chiesto di partecipare come volontario, e ho cominciato a collaborare.

Il ricordo più importante che mi lascia il Meeting è la visita di Giovanni Paolo II, con la consegna che ci ha lasciato. A un altro livello, i ricordi dei primi anni sono legati ai “miracoli” che avvenivano per costruire un fatto così significativo con zero mezzi e tanta creatività: ore passate a tirare su pareti, trasportare i materiali più vari, inventare soluzioni per problemi apparentemente irresolubili. Lo spirito di quegli anni c’è ancora, i problemi da risolvere sono diversi, meno spiccioli, si potrebbe dire, ma ancora c’è la voglia di mettere in gioco ogni risorsa per costruire un gesto bello e significativo.

Resta quindi la presenza del Meeting come voce libera in quel che resta del dibattito culturale in Italia. Credo che la voce resti libera perché non si perde il legame con l’esperienza del movimento di Comunione e Liberazione che l’ha generato. Una voce che non nasconde le sue radici, ma rivendica la sua capacità di rapportarsi con ogni altra esperienza.

Il rapporto del Meeting con la città di Rimini è sempre stato complesso. La manifestazione è sempre stata saldamente impiantata nella città, tanto più negli anni fino al 2003 quando si svolgeva nella vecchia sede della Fiera. Molti eventi si svolgevano in diversi punti della città, e a volte anche in città diverse del circondario, ma la città non ha mai sentito sua la manifestazione. L’amministrazione comunale ha collaborato, con vari livelli di coinvolgimento, fino alla piena collaborazione di questi anni, ma la “gente” ha sempre sentito il Meeting come qualcosa di estraneo, addirittura fastidioso, per i problemi al traffico che l’evento comporta. Nota che gli stessi problemi ci sono per tutti i grandi eventi che si svolgono in Fiera, ma il Meeting sembra particolarmente fastidioso. D’altra parte la maggior parte dei riminesi non ha mai visitato il Meeting, non sa nemmeno, ad esempio, che il parcheggio è gratuito. Penso sia un caso della nota sindrome “Nemo propheta in patria”.

Enrico Assorati

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