Nel caos generale che sta attraversando il Paese la scuola occupa finalmente il posto centrale: tutto sembra ruotare intorno alla riapertura della scuola. Il punto chiave non è però il diritto all’istruzione di milioni di giovani italiani, come sarebbe auspicabile, ma la fatidica data del 14 settembre, divenuta una data magica, su cui il governo sembra voglia giocarsi la sua credibilità.



Il ministero dell’Istruzione sembra oscillare pericolosamente tra Scilla e Cariddi: da un lato la pretesa della sicurezza assoluta, per cui l’ipotesi che nonostante le misure di prevenzione si possano verificare dei casi positivi viene esclusa come una calamità irricevibile; dall’altro il vincolo del 14 settembre, che ad una settimana dalle elezioni sembra un termine oggettivamente irrealistico.  E di fatto quel che da sempre è mancato nei governi a trazione pentastellata è proprio il principio di realtà, naturale conseguenza di un piccolo esercito di parlamentari privi di qualsivoglia esperienza di governo e in molti casi alle prime armi nell’esercizio del loro lavoro professionale, mai svolto in precedenza.



Però per un singolare destino, per una qualche colpa ancora non identificata, si trovano a governare un Paese che non conoscono, con strumenti di cui ignorano le conseguenze, e con una presunzione che non ha eguale nella storia della Repubblica italiana.

Cominciamo dall’utopia con cui si pretende sicurezza assoluta non solo per gli oltre 8 milioni di studenti, ma anche per tutte le loro famiglie: dai nonni ai fratellini in culla. Nessuno deve risultare positivo, altrimenti si chiude tutto, creando una serie di zone rosse con accesso interdetto a chiunque. È successo a Verbania, dove l’Istituto Cobianchi ha sospeso le attività didattiche per un ennesimo intervento di sanificazione dei locali, dal momento che un utente, poi risultato positivo al virus, era entrato nella scuola, come ha spiegato la dirigente scolastica. Ora in plessi scolastici in cui ci sono migliaia di studenti, centinaia di insegnanti e di personale ausiliario, una piccola folla di genitori, ma anche di fornitori, il rischio che una e una sola persona risulti positiva è tutt’altro che remoto. La sicurezza totale, ossia il rischio zero è una utopia che nessun esperto, o sedicente tale, può garantire. Eppure questo è quanto pretendono le attuali normative per il contenimento della pandemia da Covid-19.



Il M5s, che sembra giocarsi la sua credibilità politica sul taglio dei parlamentari per un risparmio che consenta loro di poter assumere a piacimento esperti compiacenti, ha giocato tutto sulla strategia della paura puntando su algoritmi dalle dimensioni difficilmente controllabili, che sembrano ignorare che in natura il rischio zero non esiste e quindi l’ipotesi di quell’unico soggetto positivo entrato nella scuola di Verbania potrebbe essere assai più realistica di quanto pretendano le attuali normative per il contenimento della pandemia da Covid-19.

Se davvero si vuole difendere il diritto all’istruzione per milioni di italiani occorre decidersi a venire a patti con il virus e fissare in modo assai più realistico il rischio che si intendere correre. Ma al Governo piacciono soluzioni fantasiose che si possano raccontare in Tv con comunicazioni ad effetto, del tipo: faremo una centrale unica dei tamponi; obiettivo 300mila test al giorno. Anzi, meglio: 400mila. Faremo misurare la temperatura a casa dai genitori; no forse è meglio che la si misuri in classe…

È nato così il “Piano nazionale di sorveglianza” dell’infezione da coronavirus Covid-19 messo a punto dal professor Andrea Crisanti, direttore della Microbiologia di Padova, padre della strategia “tamponi a tutti”. Un piano che prevede una spesa iniziale di 40 milioni di euro, più 1,5 milioni al giorno per la gestione. Ma Crisanti, inizialmente indicato da Zaia come esperto per il controllo della pandemia nella Regione Veneto, è diventato successivamente un interlocutore decisamente scomodo per le sue posizioni sempre ai limiti della conflittualità sia nel suo istituto che nel comitato esperti del Veneto. E qualcuno ipotizza la classica soluzione del dilemma: promoveatur ut amoveatur. Il professore va promosso in qualche cabina di regia filogovernativa, in cui la strategia della paura è diventata una leva potente di comando e di condizionamento, anche se sempre meno concreta e traducibile in azioni coerenti e funzionali.
Non a caso l’obiettivo denunciato nelle sue interviste cresce a vista d’occhio ed è quello di aumentare in modo esponenziale i test, fino a quadruplicare il numero attuale di tamponi per affrontare con più sicurezza la riapertura delle scuole e la ripresa di tutte le attività lavorative. Solo che il numero “attuale” cresce anch’esso di giorno in giorno, fino a tendenza infinita.

Sono i due corni del dilemma in cui si sta dibattendo attualmente il governo, senza riuscire a trovare la soluzione: da un lato auspicare un rischio zero e dall’altro prevedere un aumento esponenziale dei tamponi. Ma la risposta a questo dilemma non può venire dai tecnici! Solo la politica può individuarla nell’esercizio della responsabilità, che le deriva dalle sue prerogative specifiche, riconducibili ad un unico obiettivo: il bene comune.

Nessuno nega l’esistenza del virus, né la sua contagiosità; nessuno nega l’aumento del numero dei positivi, anche se sembra possibile ricondurlo all’aumento dei tamponi effettuati nelle ultime settimane, senza affatto escludere che la ripresa dei contagi sia da ricondurre alla riduzione delle misure difensive, dovute ad una certa gestione incosciente della libertà estiva e quindi destinate a rientrare con le prime piogge d’autunno. Ma non sembra accettabile condizionare l’intero funzionamento della scuola italiana alla presenza di un singolo caso positivo, che imponga l’ennesima chiusura dell’intera scuola, rispedendo a casa migliaia di studenti. Non è difficile immaginare il livello di ansia delle famiglie, sia che vivano il rischio contagio come la peggiore iattura per i propri figli sia che credano nel valore della scuola come unico vero antidoto all’ignoranza e alla superficialità.

L’ambiguità che accompagna la riapertura delle scuole, a cominciare dalla fatidica ansia, è indubbiamente la conseguenza diretta di quanto accade quando la politica rinunzia a svolgere il suo ruolo e si affida ad una tecnocrazia, incapace di fare quel bilanciamento dei diritti, quella mediazione tra le diverse esigenze che è invece il sale della vera democrazia.

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