41 BIS, LA SENTENZA DELLA CONSULTA

Secondo l’ultima sentenza della Corte Costituzionale è illegittima la censura della corrispondenza del detenuto carcerario al regime del 41 bis con il proprio legale difensore: la decisione è stata presa nella sentenza numero 18 depositata il 24 gennaio, con relatore il giudice della Consulta Francesco Viganò.



La norma della censura sulla posta tra avvocato e detenuto, scrivono i giudici, viola «il diritto di difesa sancito dalla Costituzione»: era stata la Corte di Cassazione a porre la questione di legittimità in base alla norma contenuta nel regime di carcere duro dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. La sentenza odierna della Consulta osserva come il diritto di difesa comprende – secondo quanto emerge dalla duratura e recente giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo – «il diritto di comunicare in modo riservato con il proprio difensore e sottolinea che di questo diritto è titolare anche chi stia scontando una pena detentiva. E ciò anche per consentire al detenuto un’efficace tutela contro eventuali abusi delle autorità penitenziarie». Il diritto non è definito “assoluto” dai giudici e deve comunque essere circoscritto entro i limiti della necessità e della ragionevolezza, purché «non sia compromessa l’effettività della difesa – qualora si debbano tutelare altri interessi costituzionalmente rilevanti».



LA SITUAZIONE NELLE CARCERI

Ovviamente deve rimanere immutata la protezione dal rischio di comunicare all’esterno tra il detenuto al 41 bis e le varie organizzazioni criminali di appartenenza (Camorra, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, etc…): detto questo, la Corte Costituzionale ritiene comunque deplorevole la censura della posta tra il detenuto e il proprio difensore, in quanto «irragionevole compressione del suo diritto di difesa». La Consulta scrive nella decisione che la compressione di tale diritto è una «generale e insostenibile presunzione […] di collusione del difensore dell’imputato, finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso». Da ultimo, la sentenza odierna sottolinea come le circolari del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) dal 2017 avevano interpretato l’attuale normativa escludendo «la legittimità di ogni controllo sulla corrispondenza tra detenuti in 41 bis e i propri difensori, anticipando così gli effetti di questa pronuncia di illegittimità costituzionale».

Leggi anche

RICCARDO BONACINA/ Piegare i ginocchi, il bello di essere compiutamente uomini