Gestazione per altri o utero in affitto: le parole utilizzate per descrivere questi moderni mezzi della tecnoscienza per permettere ad un bambino di venire al mondo descrivono uno stesso fenomeno, ma lo fanno assumendo due prospettive diverse. Gpa, o gestazione per altri, sembra voler mettere un accento gentile sulla pratica per cui una donna si presta a ricevere nel proprio utero un bambino concepito in laboratorio, da una coppia donatrice di gameti. Per la donna si tratta di oociti e per l’uomo di spermatozoi. Una volta concepito, il bambino sarà trasferito in un utero compiacente dove per nove mesi sarà accudito nel miglior modo che scienza e tecnica suggeriscono, un po’ meno, molto meno, sul piano affettivo. Perché ovviamente la donna starà ben attenta a non affezionarsi ad un bambino che le sarà tolto non appena nato e sarà affidato a una terza figura di donna che lo allatterà per il tempo necessario, prima di consegnarlo alla coppia che lo ha ordinato e che si aspetta di ricevere un bambino sano, bello e possibilmente intelligente. Una coppia che sarà prevalentemente formata da due uomini, uno dei quali potrebbe anche essere il padre biologico del bambino, ma non è detto che lo sia e non è neppure necessario.
In questa espressione, Gestazione per altri, si vuole sottolineare la frammentazione delle figure materne o simil-materne che si prenderanno cura di lui prima di approdare in quella che potrebbe essere la sua collocazione definitiva.
Un’esperienza di ripetuti abbandoni quella di questo bambino, in cui l’unico dato certo è la potenziale anaffettività, con cui sarà trattato da parte di chi si prende cura di lui, ben sapendo di doverlo abbandonare dopo ogni passaggio in una staffetta che appare come una vera e propria corsa a ostacoli al suo ingresso nella vita. L’espressione utero in affitto, invece, pone subito l’accento sull’aspetto di marketing che l’intera operazione rappresenta. Una coppia vuole un bambino, si rivolge ad una agenzia e paga ciò che deve pagare per avere il prodotto che vuole. Probabilmente detta alcune condizioni: maschio o femmina; europeo o asiatico o africano… chiede qualità nei gameti che saranno utilizzati e certamente esigerà che il bambino sia sano, senza patologie genetiche e senza incidenti di percorso. La somma erogata viene suddivisa tra tutti i partecipanti all’intero processo e forse, solo forse, la donna che per nove mesi si è fatta carico del bambino, accettando una serie di norme di stampo salutistico, riceverà un importo maggiore degli altri; ma quel che è certo è che l’affare conviene soprattutto all’agenzia che lo ha messo in piedi e ha contattato donatori di gameti, laboratori, clinica ostetrica eccetera.
In Italia la legge 40 proibisce questa pratica e nonostante i tentativi che da più parti, soprattutto da sinistra, sono stati fatti per demolire la legge, il divieto a praticare la gestazione per altri o l’utero in affitto, comunque lo si voglia chiamare, sussiste ancora. E chi desidera avere un figlio con questo sistema deve andare all’estero: l’Ucraina è uno dei paesi più compiacenti
La notizia di cronaca
Quarantasei neonati sono ospitati in quarantasei culle nella hall di un albergo di Kiev. Piangono quasi tutti. Il video gira in Italia da qualche giorno e le immagini sono impressionanti. La sala con le culle, affiancate in un ordine perfetto, in cui però i bambini non dormono affatto, ha un che di struggente per chi conosce la vicenda che li ha accomunati in una sorta di orfanatrofio di lusso. Sono bambini venuti al mondo perché figli del desiderio di qualcuno che riteneva paternità e maternità un diritto da esigere a qualsiasi costo.
La loro è la storia di 46 bambini nati con la pratica della maternità surrogata: Gpa o utero in affitto che sia. La madre gestazionale, non dimentichiamo che c’è anche la madre biologica, non se ne può occupare più perché il contratto non lo prevede e la coppia committente non se ne può occupare ancora, poiché con la pandemia da Covid-19 le frontiere sono state chiuse. Così 46 neonati, di cui undici destinati nel nostro Paese, affrontano le prime settimane di vita senza il bene più prezioso che ci sia a quell’età: la relazione con la mamma. Non sono bambini materialmente abbandonati; in realtà sono accuditi da personale infermieristico, che sia pure a ranghi ridotti, corre dall’uno all’altro con biberon e pannolini.
In questa fase di oggettivo abbandono dei bambini, anche sul piano giuridico-istituzionale, non si sa se e come siano stati registrati alla nascita, in Italia è stata lanciata un’iniziativa, patrocinata da due ex senatori che hanno mobilitato molte associazioni, per lo più di area cattolica, in cui ci sono famiglie disposte ad adottare questi bambini. L’iniziativa per gli 11 bambini di Kiev è partita un paio di giorni fa e sembra proprio che ci siano già altrettante famiglie disposte ad accogliere questi bambini, non appena si riapriranno le frontiere, e sempre che di fatto sia possibile.
Chi ricorre a questo servizio e chi lo offre
Sembra incredibile che con la complicità del coronavirus e delle misure di sicurezza messe in piedi dai vari Stati, sia venuta fuori questa tristissima vicenda di vera e propria compravendita di bambini e di sfruttamento delle donne. Ricorrono alla pratica della maternità surrogata prevalentemente, ma non esclusivamente, coppie omosessuali maschili, che non avrebbero altre alternative per soddisfare il loro desiderio di genitorialità. Ma ci sono anche coppie avanti negli anni e con orologio biologico fuori tempo massimo; oppure coppie in cui una malattia ha creato condizioni di grave sterilità soprattutto nella donna.
Ovviamente c’è qualcuno che sfrutta il desiderio di genitorialità a tutti costi in coppie che lo vivono come un diritto a cui non sanno rinunciare, mentre potrebbero accedere in tutta normalità alla pratica dell’adozione. Basterebbe sburocratizzare tutte le pratiche necessarie e che pure tendono a verificare se una coppia è idonea a farsi carico di un bambino, se la coppia offre requisiti di sufficiente stabilità e se l’intero contesto familiare di cui il bambino farà parte, è disponibile ad accoglierlo. Niente di tutto ciò accade con una coppia che ricorre alla maternità surrogata, nessuna valutazione previa, nessuna ricerca di garanzie per il bambino!
Gli unici accertamenti probabilmente li farà l’Agenzia che organizza queste attività e che si preoccuperà della solvibilità economica della coppia committente. Ad esempio, la BioTexCom (Center for Human Reproduction) che ha gestito la vicenda dei quarantasei bambini in questo momento parcheggiati in un albergo a Kiev, chiede per la fase iniziale, che va dalla donazione dei gameti alla fecondazione in vitro, una cifra che va da 4.900 euro a 9.900 euro, assicurando pieno successo in quest’ultimo caso. Ma per la fase successiva, che include l’utero in affitto, BioTexCom propone un “pacchetto standard” da 39.900 euro e un “pacchetto Vip” a 49.900 euro. Nel suo sito BioTexCom elenca tutti i vantaggi dell’offerta, compreso il rimborso in caso di fallimento.
In conclusione
Sono contraria alla maternità surrogata perché frantuma l’immagine della maternità in una pluralità di figure, lasciando il bambino a forte rischio di non avere neppure una mamma che si prenderà cura di lui. Ma in questo caso specifico i bambini sono già nati e abitano in mezzo a noi e come tutti noi sono detentori a pieno titolo di tutti i diritti umani, per la loro intrinseca universalità. E tra i diritti umani dei bambini c’è il diritto ad avere una famiglia.
Questa vicenda viene fuori nei giorni in cui si è celebrata la Giornata mondiale della famiglia, istituita dall’Onu nel 1994; non possiamo che augurare a tutti i bambini di Kiev la maggiore e migliore fortuna possibile. Ma chi specula su di loro, chi ha creato un prezzario per scandire un’offerta che di umano non ha proprio nulla, andrebbe adeguatamente punito. I contratti che stipula, da un lato con la coppia committente, e dall’altro con la donna che accetta di donare i suoi gameti o di affittare il suo utero, andrebbero fortemente sanzionati. Perché mentre conservano le prerogative di una trattativa economica, in realtà fanno commercio di neonati, e riducono in forma di simil-schiavitù le donne che accettano per nove mesi di vivere consegnate a un team di medici e di tecnici che controlleranno tutto quello che mangiano e fanno, per proteggere il loro prodotto.
Sono pratiche indegne della persona umana e non esiste desiderio che le giustifichi. Neppure il più alto dei desideri, come quello di mettere al mondo una vita umana e prendersene cura per sempre.