Cinque nuove terapie anti-Covid in arrivo entro settembre. Lo ha annunciato ieri l’Unione europea: “Mentre la vaccinazione sta progredendo a velocità crescente – ha dichiarato Stella Kyriakides, commissario Ue alla Salute – il virus non scomparirà e i pazienti avranno bisogno di trattamenti sicuri ed efficaci per ridurre il carico di Covid-19”. Quattro di queste terapie sono anticorpi monoclonali, già in rolling review da parte dell’Ema. La quinta invece è un immunosoppressore, che ha un’autorizzazione alla commercializzazione che potrebbe essere estesa anche alla cura dei malati Covid.
Anche dagli Stati sono stati segnalati diversi studi incoraggianti: secondo una ricerca pubblicata su Nature nelle persone sopravvissute al Covid-19 le cellule immunitarie che riconoscono il virus rimangono nel midollo osseo per almeno otto mesi dopo l’infezione. Altri studi invece proverebbero che i vaccini a Rna messaggero inducono una robusta immunità umorale, tale da non dover richiedere ulteriori dosi di richiamo. Si sta ampliando l’arsenale anti-Covid? E questo potrebbe consentirci di affrontare con maggiore serenità un’eventuale fiammata autunnale della variante Delta? Secondo Antonio Clavenna, ricercatore presso il Dipartimento di Sanità pubblica dell’Istituto Mario Negri di Milano, si tratta di “notizie incoraggianti, ma è ancora troppo presto per cantare vittoria: abbiamo bisogno di ulteriori conferme scientifiche”.
La Ue ha annunciato che sono in arrivo a settembre cinque terapie anti-Covid, mentre entro ottobre la Commissione elaborerà un portafoglio di almeno 10 potenziali terapie. Aumentano le armi a disposizione per combattere il virus?
Diciamo che stanno aumentando in parte.
Perché?
Stando alle dichiarazioni della stessa Commissione, dei 4 monoclonali che potrebbero essere autorizzati dall’Ema a settembre, due sono già attualmente in uso in diverse nazioni, tra cui l’Italia, ma di una – la combinazione tra bamlanivimab ed etesevimab, prodotta da Eli Lilly – pare che proprio in questi giorni negli Stati Uniti sia stato raccomandato di non utilizzarla più, perché non è efficace nei confronti della variante Delta e di altre varianti in circolazione.
E gli altri anticorpi monoclonali?
Non sappiamo ancora quanto in realtà siano efficaci. Quelli in corso di valutazione sono stati infatti studiati e sperimentati quando ancora non era in circolazione la variante Delta. Ci sono, insomma, un po’ di incognite, anche se ci si augura che possano essere trattamenti che affiancano le vaccinazioni, così da poter avere, da un lato, la protezione dei vaccini e, dall’altra, la possibilità di curare con dei farmaci le persone che non hanno potuto vaccinarsi, magari perché affette da malattie del sistema immunitario oppure perché assumono farmaci che riducono la risposta del sistema immunitario.
Ma gli anticorpi monoclonali con quale velocità possono essere adeguati all’insorgere di nuove varianti?
Di per sé anche gli anticorpi monoclonali potrebbero essere adattati in maniera abbastanza rapida. Rimane il problema che poi devono avere uno studio a supporto in merito a sicurezza ed efficacia. E quindi non sarebbero immediatamente disponibili, servirebbero alcuni mesi prima di renderli disponibili all’uomo. Nel frattempo si spera che non emergano nuove varianti.
Il quinto farmaco di cui ha parlato la Ue è un immunosoppressore. Di cosa si tratta?
E’ un farmaco per certi versi simile al tocilizumab, già autorizzato per la terapia contro l’artrite reumatoide e la dermatite atopica. Come meccanismo d’azione è invece leggermente diverso: inibendo una sostanza presente nel nostro organismo, fa in modo che alcuni mediatori dell’infiammazione diminuiscano, così da tenere sotto controllo l’infiammazione stessa.
Secondo uno studio della Washington University di Saint Louis, pubblicato su Nature, emerge poi che, nelle persone sopravvissute al Covid-19, le cellule immunitarie che riconoscono il virus rimangono nel midollo osseo per almeno otto mesi dopo l’infezione. Significa che l’immunità potrebbe durare un anno se non di più?
E’ un segnale che può indicare come l’immunità possa avere una durata molto probabilmente superiore all’anno e verosimilmente anche di più anni. Qualcuno sostiene addirittura per tutta la vita, ma non ne sarei così sicuro. Di certo, è una notizia incoraggiante: sia chi è guarito dal Covid, sia chi ha ricevuto il vaccino potrebbe essere protetto ben oltre i 9 mesi di cui sappiamo con certezza oggi. Ma è presto per cantare vittoria.
Secondo alcuni studi, come ha riportato il New York Times, i vaccini a Rna messaggero sembrano in grado di indurre “una risposta persistente delle cellule B del centro germinativo, che consente la generazione di una robusta immunità umorale”. In pratica, i vaccinati con Pfizer e Moderna potrebbero non avere bisogno di richiami, almeno fino a quando il virus e le sue varianti non dovessero mutare radicalmente dalle forme attuali?
Anche in questo caso sono necessarie alcune conferme, però questa notizia potrebbe voler dire che a breve non c’è la necessità di avere una terza dose di richiamo, se non in casi molto particolari, come chi ha problemi di risposta immunitaria o chi molto anziano è esposto a un rischio molto elevato di infezione. Ci sarà da capire invece se non sarà necessario in futuro un richiamo per chi ha ricevuto un vaccino a vettore virale. Abbiamo comunque il tempo per approfondire le ricerche e organizzare meglio le strategie vaccinali.
Ma la variante Delta ci consente di avere questo tempo? Quanto deve preoccuparci?
Con la Delta aumentano i casi, però nelle persone che hanno fatto il ciclo vaccinale completo l’infezione sembra avere un decorso lieve. E questo è documentato dal fatto che non c’è un incremento elevato di ricoveri e di decessi.
E’ così anche per la situazione italiana?
In Italia ci sono già focolai di variante Delta e le prospettive non sono del tutto rosee, perché ciò che sta accadendo in Israele, Portogallo e Spagna induce a pensare che non sarebbe il caso di confidare troppo sul caldo e sulla stagione estiva, dobbiamo prepararci a fronteggiare, con un tracciamento molto efficace, un possibile aumento dei casi positivi. Abbiamo perciò bisogno di un doppio intervento: da un lato, bisognerebbe cercare di anticipare la seconda dose a chi ha già ricevuto la prima ed è al momento scoperto; dall’altro, è prioritario recuperare alla vaccinazione quei due milioni e mezzo di over 60 che non si sono prenotati per il vaccino.
E’ giusto quindi guardare con attenzione a quanto succederà da qui in avanti in Israele e in Gran Bretagna, perché poi accadrà esattamente lo stesso da noi due o tre mesi dopo?
Direi che è molto ragionevole.
Domani debutta il Green pass. Secondo lei, la variante Delta ci costringerà a rimodularlo, rilasciandolo solo dopo la seconda dose di vaccino?
Se ne sta discutendo e mi pare sensato ripensare ai criteri del Green pass.
Dopo quello che è successo a Maiorca e dopo che è caduto l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto, ci sono precauzioni da seguire per evitare che la prossima estate si trasformi nell’incubatore di una nuova fiammata epidemica in autunno?
Sì, sono più o meno le stesse precauzioni a cui ormai ci siamo abituati. Lo stop all’obbligo della mascherina all’aperto non preoccupa, anche se buon senso vuole che in caso di assembramenti meglio mantenere tutte le cautele, dalla mascherina al distanziamento. E ancor di più nei locali al chiuso. Non bisogna abbassare la guardia.
(Marco Biscella)