22, 34, 43, 49, 52. Questa la drammatica sequenza delle età degli operai morti nell’incidente ferroviario dell’altra notte nei pressi della stazione di Brandizzo, nel Torinese. Ma cos’è accaduto 22 anni fa? 34 anni fa? 43 anni fa? 49 anni fa? 52 anni fa? È accaduta la stessa cosa: un istante di vita. Un istante indisponibile a ciascuno di noi che ha reso possibile la vita. Sempre un istante è stato il protagonista dello spegnersi di queste vite l’altro giorno. Un istante forse meno indisponibile rispetto al concepimento, ma pur sempre eccedente le nostre misure e calcoli.



E l’istante dopo? Adesso che tutti pontificano e dichiarano, accusano e moralizzano, chi potrà sperare in ciò che è accaduto l’istante dopo? Nessuno era presente, nessuno ha potuto cambiare la sorte dei nostri amici, a nessuno è dato il potere di mandare indietro il tempo per intendersi meglio ed evitare gli errori.



Eppure quell’istante dopo chiede di essere chiamato per nome. Il vangelo di Matteo, della liturgia del 30 agosto, diceva così: “Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. Nel racconto Gesù parla di un ladro che viene a prendere ciò che non è suo e di un padrone che torna a casa. Tutta la nostra vita, in definitiva, è l’amorevole tentativo del padrone di riconquistare ciò che il ladro pensa di aver rubato per sempre. Spesso, scoraggiati, potremmo iniziare a lamentarci per l’apparente ritardo del padrone e a vivere come se non ci fosse stato nessun istante in cui siamo stati voluti. Ma il padrone non ha paura, neppure della nostra distrazione. Sa che sappiamo. Attende e tiene il nostro cuore in attesa, perché decida liberamente (vengono i brividi solo a pensarlo!) se scendere a patti con il ladro o rimanere desti.



Per rimanere desti, però, occorre una ragione, come quella scritta da san Paolo nella Lettera ai Corinzi: “Fratelli, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati”.

Solo la certezza di questo “batter d’occhio” può permetterci di vivere tutto, persino una sciagura come quella di Brandizzo, senza che il nostro cuore venga travolto, come lo sono stati i corpi dei cinque operai che stavano semplicemente facendo il loro lavoro.

Che tutta la vita sia presa dallo struggimento per il primo istante e per l’ultimo, abbandonati all’abbraccio che fiorirà l’istante dopo nel quale scopriremo che, in realtà, tutto si è giocato in unico istante: quello della risurrezione. L’alternativa la conosciamo: la noia dei soliti discorsi composti dalle solite parole.

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