“La donna è colei che dà la vita”. Un’affermazione un tempo scontata, di buon senso, che non creava scalpore. Oggi non è più così. Anzi. Se poi a esprimersi in questo modo è un noto anchorman televisivo come Fabio Fazio, in un post su Twitter lo scorso 8 marzo, festa della donna, apriti cielo! È stato subito accusato, da alcune femministe, di “sterile celebrazione”, di ignorare “inclusione e parità”, di “considerare le donne solo in relazione al ruolo che hanno nella vita degli uomini (mogli e madri)”.
Chissà allora che ondata di indignazione susciterebbero, se pronunciate ora, parole come quelle di padre Mariano, che sosteneva che “tutto quello che è stampato nei miliardi di libri di tutte le biblioteche della terra non vale una mamma”. Perché una mamma non solo “ci genera alla vita”, fa molto di più: “ci insegna a vivere e ci aiuta a vivere”. Per il frate “è una realtà unica nostra madre”, è appunto “la donna che vive per noi”. E qui affioravano i ricordi personali del religioso, in realtà veri per tutti: “Mia madre mi ha insegnato a bere, a mangiare, a fare i primi passi, a mandar giù le prime lacrime, a dire le prime parole in quegli strani colloqui nei quali io balbettavo suoni che capiva lei sola… mi ha fatto dire le prime preghiere che mi tornano spontanee al labbro nell’ora della prova”.
Ma chi è padre Mariano? Al secolo Paolo Roasenda, nato a Torino il 22 maggio 1906, la sua fu un’imprevista vocazione adulta (era un brillante docente di latino e greco, prima di farsi cappuccino). Dagli albori della televisione, nel 1955, e fino alla morte (avvenuta il 27 marzo 1972, cinquant’anni fa) diventa il frate più amato e popolare d’Italia, in concorrenza con lo stesso padre Pio da Pietrelcina.
Quest’ultimo, schivo e riservato, un po’ burbero, incontrava di persona i fedeli che andavano a trovarlo in convento: li aspettava e li accoglieva in confessionale, dove stava giornate intere. Padre Mariano si rivolgeva invece a tutti grazie al mezzo televisivo, così da trasformarlo in strumento di evangelizzazione. Ebbe un successo straordinario. Era capace – con le sue seguitissima trasmissioni (La posta di padre Mariano, In famiglia, Chi ė Gesù) – di tenere incollato al piccolo schermo mezza Italia, con indici di gradimento altissimi, tra il 77 e l’81%. Non esisteva ancora l’Auditel, ma il suo pubblico si stima toccasse punte di oltre 17 milioni di spettatori. In quella mezz’ora scarsa, una volta la settimana, parlava di Cristo, dei Vangeli, della vita dei Santi, ma anche dei problemi della gente, con un tono affabile e paterno. Sempre sorridente, il suo celebre saluto entrava nelle case all’ora di cena, come una benedizione attesa: “Pace e bene a tutti”. C’era chi chiedeva e otteneva di uscire prima dalle fabbriche e dagli uffici per correre a casa ad ascoltarlo.
Qual era il segreto della sua popolarità? Secondo il venerabile cappuccino (le sue virtù eroiche sono state riconosciute da Benedetto XVI il 15 marzo 2008) “abbiamo complicato tanto la faccenda dell’apostolato”. Si chiedeva: “Possibile che per fare un po’ di bene ci voglia davvero tanta tecnica, tanta carta stampata, tante macchine organizzative? Non lo voglio credere. Dio è così semplice!”. E indicava come muoversi: “Parlare di Gesù; e solo di Lui, alle anime. Basta farsi uomini con gli uomini, come Egli si è fatto uomo con noi”. Raccontava Gesù in modo chiaro e comprensibile, con simpatia, ovunque andasse: in chiesa ma pure nelle scuole, nei teatri, nei cinema, al mercato, fermando le persone per strada. “Perché si predica così di rado all’aperto, negli stadi, nei giardini, a quelli che non vogliono mai entrare in chiesa?”, diceva.
L’approdo in tv allarga a dismisura il suo uditorio. La sua preoccupazione principale è far capire la centralità di Cristo e in cosa consista la vita nuova in Lui. In una conferenza all’Accademia militare di Modena, in preparazione della Pasqua del 1971: “Il cristiano appartiene a Cristo, è qualche cosa di Lui, perché ci ha conquistato con il Suo sacrificio”. E non è una figura relegata al passato: “Gesù è sempre con noi”. Ogni giorno possiamo vederlo nel “volto dei fratelli, soprattutto quelli che sono più sofferenti, quelli che sono più lontani da noi, quelli che sono più bisognosi di una parola buona”.
“Il cristianesimo non è tanto una dottrina (sia pure la più alta perché divina)”, precisa nella stessa conferenza, “quanto una persona: l’essenza del cristianesimo è la persona di Gesù Cristo”. Spiega: “Se la predicazione è poco ‘essenziale’, poco cristiana, è perché si parla troppo poco della persona di Gesù”. Si pone la domanda: “Che cosa manca oggi al mondo? Chi dice il grano, chi il ferro, chi l’oro o l’uranio. Tutti ripetono in coro: manca la pace”. La sua risposta è spiazzante: “Ciò che in realtà manca è il cristiano. I battezzati sono molti, ma i cristiani sono pochi”. E aggiunge, con una dichiarazione di folgorante attualità: “Solo autentici cristiani possono dare e garantire la pace nel mondo”.
Le sue considerazioni nascono quasi sempre dall’esperienza personale. “Qualche volta il sacerdote non ha vera ‘comprensione’ del mondo che vuole avvicinare, quella conoscenza vera, intima, cordiale dell’uomo d’oggi”, che è data, oltre che dalla preghiera, “dall’avvicinamento personale”. E lui si avvicina agli umili, agli afflitti, ai dubbiosi. Padre Mariano vede con il passare degli anni le chiese svuotarsi e assiste preoccupato al dilagare dell’ateismo; convinto tuttavia che anche l’ateo che nega Dio abbia in realtà una sua fede. Ma “il credo dell’ateo (poiché anche lui ne ha uno) suona molto strano”, perché crede “in tutto ciò che è irragionevole”. Crede infatti “nell’orologio senza orologiaio, nel quadro senza pittore, nel figlio senza padre”.
Il cappuccino dal largo sorriso e la barba brizzolata, uomo di vasta cultura, spaziava sul piccolo schermo dai puntuali riferimenti biblici a episodi delle vite dei Santi, come Agostino, Francesco, il Curato d’Ars, Francesca Cabrini e tanti altri, persone uguali a noi “che si sono sforzare di vivere l’amore di Dio”. Citava con semplicità i grandi classici della letteratura, da Orazio a Dostoevskij, ma narrava anche storie di gente comune, meno conosciuta, che aveva avuto occasione di incontrare e che offriva straordinarie testimonianze di fede. Sempre attento all’attualità, amava parlare dei protagonisti della cronaca, della politica, del mondo dello spettacolo, da Gagarin a Charlie Chaplin. L’eclettico artista britannico per padre Mariano aveva un suo credo: credeva “nella potenza del riso e del pianto, come antidoto all’odio”. Il suo personaggio più celebre, Charlot, “buffo e dolente, comico e patetico a un tempo, lotta con tutto il suo cuore contro la cattiveria e la fatalità, contro le infinite ipocrisie della vita sociale organizzata, contro il tecnicismo che uccide le gioie più elementari della vita”.
La fama del cappuccino aveva attraversato i confini. Alla notizia della sua morte, per un male incurabile, centinaia gli articoli apparsi sulla stampa di tutto il mondo per ricordarne la figura. Era “l’amico di tutti”, “la voce della bontà”, “ogni sua parola aveva il sapore di un miracolo”. Il titolo più accorato: “E ora chi dirà ‘Pace e bene a tutti’?”.
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