Il rabbioso rientro negli stili di vita ante-Covid, unito al costo energetico derivato dalla guerra nel cuore dell’Europa, sta diventando un combinato pericoloso che, nella vigilia di una più che prevista fase recessiva, rischia di catalizzare una forte contrazione dell’economia italiana e nuove, pesanti difficoltà per i consumatori.



Un imbuto dove stanno finendo una Legge di bilancio cucita con le poche risorse disponibili, la crisi delle materie prime, il carico fiscale che per i più non accenna ad alleggerirsi, le superbollette, ma anche, per contro, quella generalizzata voglia di “normalità” che si accennava, con il ritorno ai ristoranti o alle settimane bianche in misura perfino superiore al 2019.



Il cerchio si chiude: ristoranti, sci, consumi in genere smuovono la bilancia, ma ristoranti, sci e consumi (spese volontarie) troppo spesso non sono sostenibili, vista l’incidenza delle spese obbligate (rate, mutui rincarati, bollette e via dicendo). Scrivevamo una decina di giorni or sono dell’incertezza sul futuro che lascia spazio a interpretazioni soggettive, tra pessimismo e una specie di negazionismo delle proprie reali condizioni, con quest’ultimo atteggiamento che genera il ricorso all’utilizzo del risparmio (modalità molto diffusa, secondo un recente sondaggio di McKinsey, in Italia, Spagna e Regno Unito) per mantenere alti stili di vita. Adesso un report del Centro studi di Unimpresa certifica che, dopo tre anni di crescita costante, i risparmi degli italiani stanno evaporando speditamente.



Una subsidenza certificata dai dati di BankItalia, che “indicano – sostiene Unimpresa – come solo negli ultimi tre mesi sono stati prelevati da conti correnti e altre forme di risparmio oltre 50 miliardi di euro: una diminuzione del 2,4%, visto che a luglio l’ammontare delle riserve delle famiglie e delle imprese depositate nelle banche era a quota 2.097 miliardi”, un tesoro su cui si fonda buona parte della reputation economica del nostro Paese. Adesso calano gli accantonamenti, e non solo per le famiglie, ma anche per le imprese, con un deflusso improvviso che potrebbe avere qualche ripercussione sulla raccolta da parte degli istituti di credito.

L’allarme è concreto, anche se i dati vanno registrati: gli ultimi tre anni di accumuli in crescita sono stati quelli della pandemia, con un conseguente calo dei consumi e dell’utilizzo dei servizi. E bisogna precisare anche che gli accumuli sono patrimonio di chi è in grado di risparmiare, mentre ancora BankItalia ha avvisato da tempo che almeno un terzo delle famiglie italiane ha visto recentemente ridursi il proprio reddito. Nell’equazione economica dei valori complessivi, crescita di una voce e calo di un’altra sono fattori direttamente collegati. In quest’ultimo scampolo del 2022 il rischio più immediato è la stagnazione, con tassi di interesse al rialzo (in ottobre il costo del credito per le imprese italiane era 3,14% per le Pmi, dall’1,74% di inizio anno, 2,19% per le grandi, da 0,76%; il Btp, che era in flessione da metà ottobre è risalito a 4,06% in seguito del rialzo dei tassi deciso dalla Bce il 15 dicembre), inflazione e ricorso all’extra risparmio. E la crescita dell’inflazione (+11,8% a novembre) ovviamente lima il potere d’acquisto, appesantendo i bilanci, familiari e d’impresa.

I prezzi, insomma, salgono ben più in fretta dei salari, e i Governi (nazionali ed europei) aumentano i tassi d’interesse per frenare affidamenti e investimenti, disincentivando i consumi (e si dice che se si consuma meno i prezzi scendono: alla riduzione della domanda consegue che i produttori sono costretti a non alzare i prezzi per riuscire a vendere…): anche questa un’equazione che andrebbe comunque rettificata, proprio alla luce dell’immarcescibile volontà dimostrata dagli italiani di mantenere gli stili di vita che si diceva. Ma se i consumi restano stabili o perfino in aumento (vedi il boom del turismo invernale), il rialzo dei tassi d’interesse oggi finisce solo con l’assottigliare i risparmi e agevolare le banche, centrali o no che siano.

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